Su Robilante venne pubblicato nel 1962 il libro "Cenni storici di Robilante" da parte di M. Ristorto. Come indicava lo stesso autore nella prefazione:
"Il Pievano Teol. Lorenzo Peirone, negli anni 1933-1936, in trentasei puntate, dava, sul Bollettino Parrocchiale, la storia, diremo così, a contagoccie, della parrocchia di Robilante.
Ponendo termine al suo lavoro, nel gennaio del 1937, così annotava: "Più d'un lettore amante del luogo natio ed anche diversi villeggianti affezionati a Robilante m'hanno pregato di radunare tali articoli in un volumetto.
...
Naturalmente abbiamo attinto largamente alle ricerche di D. Peirone, aggiungendo nuovi documenti e dando al tutto forma libraria.
Si tratta, a dir il vero, di un semplice e veloce sguardo sui secoli passati, non avendo il libretto la pretesa di esaurire la storia di Robilante.
Questi cenni vogliono essere soltanto una piccola testimonianza del ricordo e dell'affetto che la parrocchia di Robilante tuttora nutre per il suo Ex-Pievano.
..."
Ci sembra interessante riproporre gli scritti di don Peirone nella loro forma originale.
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1933, n. 7, pagg. 2 - 3
La storia di Robilante e di Valle Vermenagna si perde nella notte dei tempi. L'uomo vi dovette abitare fin da epoche lontanissime, che la storia non ricorda.
Dapprima nelle nostre valli dell'alto Piemonte si ebbe una popolazione indigena, comunemente detta ligure. Più tardi vennero ad urtarsi ed a sovrapporsi tre invasioni diverse: una invasione di Etruschi dal centro d'Italia; una seconda per mare dalla Fenicia e dalla Grecia verso il 600 avanti Cristo; una terza dal nord, formata di tribù germaniche (450 av. Cristo). Diverse località del Circondario di Cuneo conservano tuttora nomi di origine greca e germanica.
Con questo miscuglio di razze e con questa varia trasfusione di sangue si formò la popolazione delle nostre Alpi. Cicerone chiama gli antichi abitatori di questa regione « duri ed incolti » ; Dante tredici secoli più tardi ci chiamerà ancora « irsuti ed aspri ». Quanto fossero aspri e forti i nostri antichi padri lo provarono i Romani, i dominatori del mondo, quando verso il 200 avanti Cristo, vollero conquistare queste zone montuose, e vi trovarono una vivissima resistenza. La lotta fu lunga, accanita, difficile, protraendosi per quasi due secoli. Eccidii spaventosi, schiavitù, deportazioni furono compiute. Lo storico Livio ricorda la deportazione di quarantasettemila liguri, oltre le donne ed i fanciulli, nel Saunio e nel Beneventano. Le terre spopolate dalla lunga guerra e dalle deportazioni furono allora divise tra i veterani di Roma.
Cosi con grande effusione di sangue furono romanizzate le nostre valli. I veterani ed i coloni romani, mescolatisi con gli antichi abitatori, tolsero loro il mezzo di ribellarsi ancora e formarono poi con quelli un popolo solo, con vantaggio reciproco dei conquistatori e dei conquistati. Perciò sotto Cesare Augusto la situazione sarà già completamente migliorata e calma, e più tardi, nel 63 dopo Cristo, Nerone concederà la cittadinanza romana agli abitatori delle Alpi Cozie e Marittime.
Robilante fu certamente abitata da coloni romani fin da quell'epoca pre-cristiana, e lo prova, se non altro, il fatto che a Robilante sono sempre esistite ed esistono famiglie che portano nomi di gente romana. Invero tuttora due terzi circa dei Robilantesi portano nomi romani: i Giordano, i Giordanengo, i Dalmasso, i Consolino, i Romana, ecc.
Quale l'origine del nome "Robilante"? Non ho potuto trovare alcuna spiegazione. Nei più antichi documenti è scritto Robulando. Perciò inclino a credere che venga dal latino Robur, che vuoi dire forza: paese di gente forte. Roburando, cambiatosi in progresso di tempo in Robulando, di più dolce pronunzia.
La desinenza "ando" è comune con il vicino paese di Vernante, che scrivevasi anticamente Alvergnando.
Il nome poi di "Vermenagna" pare che derivi dal latino vermenæ, - verbene che crescevano presso l'inizio della Valle, presso un tempio degli idoli e che i sacerdoti pagani - vermenarii - usavano per le purificazioni e le lustrazioni.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1933, n. 8, pag. 3
Dall'epoca della conquista romana, la zona di Robilante appartenne al municipio o civitas di Pedona.
I municipi romani avevano magistrati propri e con diritto a voto con la propria tribù. Avevano una estensione di territorio che s'avvicinava ai nostri circondari.
Il municipio romano di Pedona, che sorgeva presso l'attuale Borgo S. Dalmazzo, era ascritto alla tribù Quirina e comprendeva le valli di Vermenagna, Gesso e Stura. Confinava col municipio di Benevagienna ascritto alla tribù Camilia che s'estendeva fin all'attuale territorio di Boves, e col municipio di Auriate di tribù Pollia che comprendeva il territorio al di là della Stura con Centallo fino a Saluzzo.
I municipi di Pedona e d'Auriate appartenevano alla provincia delle Alpi Marittime, ascritta alla Gallia. Perciò Pedona era sulla linea di confine tra l'Italia e la Gallia. Invero sia presso Pedona, come fra Busca e Piasco, eranvi due posti doganali, dove si pagava il postorium o quadragesima Galliarum, quello che da noi si direbbe diritto di dogana, ragguagliato al 2,50 per cento sul valore delle merci. I Romani adunque, invece di sorvegliare la lunga dorsale alpina, sorvegliavano soltanto gli sbocchi delle valli, metodo più facile ed economico per esigere i diritti doganali.
La valle Vermenagna era allora percorsa da via Romana di non mediocre importanza. La via Romana Emilia dal litorale ligure raggiungeva Boves (invero, oltre il torrente Colla verso Peveragno, il territorio attraversato dalla medesima porta ancor oggi il nome « Regione Via Mia ») e doveva congiungersi colla via Imperia che passando alla destra del torrente Vermenagna saliva al colle di Tenda. Presso Limonetto si vedono tuttora dei lunghi tratti di tale via col selciato a lastroni. La Frazione Imperiale di Roccavione, confinante con il territorio di Robilante, deve il suo nome appunto alla via Imperia che vi transitava dappresso.
Pedona pare derivi il suo nome dalla radice protoitalica ped. pino. Difatti il commercio di Pedona e degli abitanti della nostra valle nasceva sopratutto dal negozio dei pini e delle resine. Il pino occupava allora quasi tutta la zona occupata ora dal castagno, pianta questa introdottasi più tardi per opera dei Romani.
Robilante quindi nell'epoca romana, dai tempi di Augusto, apparteneva al municipio di Pedona, alla provincia delle Alpi Marittime, ascritta non all'Italia, ma alla Gallia: provincia che aveva la sua capitale a Cimella (Cimiez), sul versante francese delle Alpi.
Il livello morale della sua popolazione non doveva esser molto alto, come era in genere in tutto il mondo pagano. Alle divinità liguri e germaniche si aggiunse il culto di divinità greche, come Ercole, Marte, Pallade, Vulcano, e poi di divinità romane, come Apollo, Nettuno, ecc. Così i pescatori della Vermenagna e del Gesso pregavano Nettuno, il dio delle acque, i mulattieri ricorrevano a Epona... Gl'idoli falsi e bugiardi ottenevano sacrifizi ed adorazione da quei lontani nostri antenati, ma brillerà presto per loro la luce divina del Cristianesimo. S. Dalmazzo ne sarà il primo apostolo, e col sangue suo e dei suoi compagni sarà fecondata questa nostra valle che darà poi frutti di sane virtù religiose e civili.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1933, n. 9, pagg. 2 - 3
La fede cristiana nelle nostre valli ebbe per primo apostolo San Dalmazzo Martire.
San Dalmazzo nacque dalla nobile gente romana dei Cornelii, ed appartenne alla famiglia Flavia Secunda, donde nacque poi Costantino il grande che nel 313 diede pace alla Chiesa. In questa famiglia si ripete il nome di Dalmazzo, e lo portarono anche due principi, l'uno fratellastro, l'altro nipote di Costantino. Tre sante poi, S. Mustiola, S. Elena, S. Costanza, illustrarono la parentela di San Dalmazzo.
Ricco di censo, vide però sfumate le sue ricchezze nella persecuzione di Decio: onde egli lasciò la sua casa e divenuto povero per amor di Gesù Cristo venne a ritirarsi in un paesello vicino a Pedona, ora totalmente scomparso, Castrum Auriatensium, di fronte al Borgo e nei pressi di Roccavione. Egli fondò in questo luogo una cristianità, ma poi non vi si fermò a lungo, forse per la tema di esser denunziato. Dalmazzo si diede allora a pellegrinare, cominciando un apostolato girovago efficacissimo. Predicò ad Alba; fu a Pavia, a Milano e forse a Cremona. Poi tornò nell'Albese; salutò e rinfrancò la sua plebe presso Pedona, e poi attraverso la Liguria passò in Francia, iniziando all'apostolato un suo compagno, San Saturnino, il martire di Tolosa.
Nel tempo della sua assenza la fede cristiana era disseminata intorno a Pedona, nelle nostre valli, da quelli del paese che aveva convertiti e fatti cristiani. Pare anzi che Dalmazzo (che fu sempre un semplice laico e che aveva ricusato a Pavia d'esser fatto Vescovo) avesse ottenuto da Papa Cornelio che fossero ordinati dei sacerdoti ad avere cura dei nuovi convertiti.
Dalla predicazione di Dalmazzo e dei suoi discepoli, i cultori degli idoli e specialmente i sacerdoti o maghi d'Apollo ne sentirono grave danno. Perciò costoro, durante la lontananza di Dalmazzo, ripresero l'offensiva cercando con ogni mezzo di pervertire i cristiani e restaurare il culto degl'idoli. Dalmazzo era a Marsiglia quando fu avvertito della grave minaccia che incombeva sulla sua cristianità di Pedona. Egli volle tornare, e per il colle di Tenda e la valle Vermenagna giunse di fronte al Borgo. Dalmazzo preferiva morire per la prima cristianità, per la piccola plebe a lui affidata, che vivere sicuro con un'altra. I maghi d'Apollo, saputo del sopraggiungere di Dalmazzo, commossero a furore i proprii seguaci, perché non lasciassero più entrare Dalmazzo nel Castrum Auriatensium. Il Santo, accolto a festa dai suoi fedeli disseminati per la nostra valle Vermenagna, era già arrivato di fronte alla sua terra di apostolato, da cui era solo separato dal torrente ingrossato d'acque.
Era il 5 dicembre 254. Stavano dall'uno dei lati del Vermenagna i maghi furibondi coi loro gregari; dall'altro lato, presso la collina, Dalmazzo coi suoi. Dalmazzo non tardò ad accorgersi che gli era stata tesa un'imboscata. Allora andò volentieri incontro alla morte per amore di Gesù Cristo. Si rivolse con dolci parole ai suoi persecutori, ed insegnò loro un guado praticabile per attraversare Vermenagna. E quei furiosi lo raggiunsero e fecero una carnificina sulla turba fedele: Dalmazzo con ventinove compagni cadde sulla riva. Il Santo, colpito al capo con un fendente, lasciò sulla pietra la traccia del suo sangue, ma portando la mano alla testa e tenendo unita la parte staccata, traversò ancora il Gesso e su quelle ghiaie spirò. Così la fede doveva violentemente scomparire a Pedona e nei dintorni. Ma ripullulò vigorosa, perché il sangue dei Martiri è seme di Cristiani.
Se San Dalmazzo è salutato l'apostolo di tutto il Piemonte meridionale, con maggior ragione dobbiamo noi venerarlo quale apostolo della nostra valle.
Robilante, situato a pochi chilometri dal teatro principale del suo apostolato e del suo martirio, fu certamente santificato dal suo passaggio e dalla sua predicazione, e per merito suo contò tra i suoi abitatori i primi cristiani. Dei 29 compagni e discepoli suoi, che con lui caddero martirizzati, non pochi certamente erano dei nostri dintorni e forse qualcuno nato e vissuto nel territorio attuale di Robilante. Fra i compagni e discepoli di San Dalmazzo va poi certo annoverato San Magno, che tanta venerazione ha presso di noi. Che San Magno sia stato ucciso con San Dalmazzo presso Borgo, o che, per allora scampato da quella carnificina, sia stato poi raggiunto dai suoi persecutori ed ucciso in valle Grana, non consta con sicurezza. Ma di preciso consta, come scriveva nel sec. XVI Monsignor Girolamo Vida, Vescovo d'Alba, che San Magno è comes viæ, compagno di via e di fatiche di S. Dalmazzo. Che San Magno sia stato soldato tebeo, non è storico, ed ai nostri giorni criticamente non lo si può più sostenere.
Un motivo di più per noi, onde onorare S. Dalmazzo ed uno dei suoi più illustri compagni, San Magno, Santi italiani nostri vissuti e martirizzati nei nostri paesi.
A questi primi apostoli e martiri della, valle Vermenagna, a questi nostri primi padri nella Fede la nostra venerazione e la nostra preghiera perenne e riconoscente.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1933, n. 10, pag. 3
Con Costantino Magno fu data la pace alla Chiesa e sul sepolcro di S. Dalmazzo fu eretta una chiesetta e più tardi una splendida Basilica, che nel secolo V S. Valeriano, Vescovo di Cimella, visitò varie volte ed illustrò coi suoi discorsi poi venuti fino a noi. Verso la metà del secolo VI Pedona è già eretta in Pieve con il fonte battesimale e con giurisdizione sulle tre valli di Stura, Gesso e Vermenagna. Intanto, perché meglio potesse svolgersi la vita religiosa in diversi punti di queste tre valli, si andavano erigendo chiese vicane o vicinie, sotto la dipendenza della Pieve di Borgo (Pedona) ed è assai probabile che in quel secolo Robilante abbia cominciato ad avere la sua chiesa propria.
E grande era nei nostri paesi la devozione di S. Dalmazzo Fin dai primi anni del 500 la sua festa (5 dicembre, giorno del suo martirio) era diventata celeberrima. Alla Basilica di S. Dalmazzo accorrevano pellegrinaggi non solo dall'alto Piemonte, ma fino dalla Francia. In tale circostanza si svolgeva anche un mercato, per dare comodità ai pellegrini di farsi delle provviste per il ritorno.
La fiera "fredda" del 5 dicembre a Borgo a cui si accorre tuttora numerosissimi dai paesi della Valle Vermenagna, dev'essere dunque la fiera più antica del Piemonte, risalendo a circa quindici secoli fa.
La devozione a S. Dalmazzo e la fede cristiana crescerà maggiormente fra i nostri monti col sorgere a Borgo dell'abbazia dei Benedettini.
Tale abbazia, accanto alla Basilica di S. Dalmazzo, è fondata verso il 600 con donazione della regina Teodolinda e del re Agilulfo.
Pedona e Robilante, dopo la caduta dell'impero romano nel 476 dell'era volgare, avevano subito ed in seguito subiranno le sorti dell'Italia settentrionale, passando successivamente sotto il dominio dei Goti, dei Longobardi, poi dei Franchi.
Teodolinda ed Agilulfo, fondando il monastero di Borgo « per la salute delle loro anime e per la felicità del regno e di tutta la gente Longobardica», gli donarono estesissime terre, e fra queste la valle Gesso e la valle Vermenagna.
Da quel tempo, cioè dal 600 circa, gli Abbati Benedettini di Borgo cominciarono ad esercitare su Robilante non solo giurisdizione religiosa, ma anche civile. Verso il 650 il Municipio di Pedona viene soppresso ed unito a quello di Auriate, con capoluogo Auriate, ma Pedona coi suoi Abbati continuerà ugualmente ad esercitare una forte influenza.
I possedimenti degli Abbati saranno più volte riconfermati loro, segnatamente da Carlomagno e da Ludovico il Pio.
Il Meiranesio (storico però alquanto sospetto) ricorda un documento di quest'epoca, in cui per la prima volta comparisce il nome di Robilante. Siamo nel 700-712 sotto il regno di Ariperto. Questo re avrebbe fatto all'abbazia di Pedona una conferma « di quanto avevano dato Vidone, figlio di Ariperto, ed Uberto, figlio di Videlberto, in Robullando nel farsi monaco ».
Nell'875 Carlo il Calvo, Re d'Italia e di Francia, cede alla Chiesa di S. Donato in Arezzo in Toscana due corti nel comitato Aretino, dichiarando d'aver avuto in cambio dal conte Adalberto di Toscana due corti nel comitato Auriatense : Villa e Catenanica. E' provato che Catenanica è Demonte. Non si sa precisamente dove fosse l'altra corte di Villa. Forse Robilante ? Non pare. Però il fatto che solo Demonte e Robilante tra i paesi della nostra Diocesi hanno quale patrono San Donato, Vescovo di Arezzo, ci prova che devono essere intercorsi rapporti, sia pure remoti, tra le nostre valli e la Chiesa di Arezzo.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1933, n. 11, pagg. 2 - 3
Robilante nel secolo X ebbe a soffrire i danni patiti dagli altri paesi del Piemonte cispadano, che furono campo delle scorrerie e delle violenze dei Saraceni o Mori.
Questi barbari infedeli, segnaci di Maometto, venuti; dalla Spagna sbarcarono a Frassineto presso Nizza Marittima, prendendovi stabile dimora. Fatti poi venire altri dalla Spagna e dall'Africa, cominciarono ad invadere il Piemonte e le Langhe.
Passato il colle di Tenda, probabilmente nel 904, vennero su Pedona. Fortunatamente per ordine del Vescovo Audace di Asti, il corpo di San Dalmazzo era stato portato oltre il Po, a Quargnento, e messo cosi al sicuro. Dapprima i Saraceni non distrussero Pedona, ma misero solo un tributo alla porta della basilica di San Dalmazzo. Però circa tre anni dopo la diroccarono totalmente in un colla sua basilica, e così pure distrussero e fecero scomparire Auriate, Bredolo e le altre città romane e franche dell'alto Piemonte.
La nostra regione subalpina fu allora completamente devastata e pressoché spopolata.
Robilante, se non fu distrutto come i centri più grossi di Pedona e di Auriate, ebbe certo molto a soffrire, perché in quel tempo furono innumeri le stragi e le violenze fatte dai Mori nei nostri paesi.
Cosi la tradizione ricorda stragi di nostri al colle dell'Ardua sopra la Certosa di Pesio nel luogo detto Malmasel (mal macello) ; così la strage avvenuta tra Boves e Roccavione, ai piedi della collina che guarda Borgo, nel luogo tuttora chiamato Ciadel (dal latino clades - strage).
Non poche sono le leggende che ricordano il periodo saracenico e che riguardano costumi d'allora nelle feste della baja, o rapimenti di fanciulle, ecc. Qualcuno avrà ancora sentito cantare dai vecchi con sentimento patetico e melanconico la canzone della « Mongleisa steita rubeia dal Moro Saracin ».
Cosi pure non pochi sono i ricordi della permanenza dei Mori tra noi. Difatti noi Robilantesi abbiamo il Colletto del Moro; a Roccavione all'altezza della Cartiera Pirinoli vi era e vi è la Rocca Maurina ; a Roccasparvera una roccia paurosa porta tuttora il nome di Roccas del Seracin.
La cacciata dei Saraceni fu impresa lunga e difficile. L'opera delle armi cristiane s'iniziò contro Frassineto nel 942 e proseguì con alterna fortuna fin all'anno 985, quando i Mori dovettero abbandonare le coste della Riviera e ritornarsene in Spagna ed in Africa. Un secolo dopo, la cristianità che prima aveva tremato davanti all'audacia saracenica, porterà coraggiosamente le sue bandiere all'assalto delle terre di Maometto colle Crociate.
Partiti i Saraceni, ritornano presso la distrutta Pedona i monaci benedettini, e così verso il 1000 risorge la basilica di San Dalmazzo, risorge la distrutta cittadina, che più non si chiamerà Pedona, ma Borgo S. Dalmazzo. Più tardi saranno riportate da Quargnento le reliquie del Santo e ricomincierà a pulsare la vita nelle nostre devastate e spopolate valli.
In riconoscenza a Dio si eressero allora la Cappella della Madonna dell'Ardua e poi la Certosa in quel di Pesio; a Roccasparvera, ai piedi del Roccasso del Seracin, è innalzato il santuarietto della Madonna della Neve; a Robilante sarà eretto un semplice devoto pilone, che tuttora continua a chiamarsi pilone del Moro, e più tardi vicino a questo sorgerà la Cappella del Malandrè in onore del Santissimo Nome di Maria.
Così si volle ribenedire colla Croce luoghi profanati dal culto di Maometto e ravvivare nelle disperse e spaurite popolazioni i ricordi delle credenze cristiane.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1933, n. 12, pagg. 2 - 3
Il diploma del 1041. - Dopo la partenza dei Saraceni Robilante, se distrutto, venne ricostruito.
L'imperatore, a più riprese, aveva donato e confermato al Vescovo di Asti l'Abbazia di Borgo con tutte le terre che a questa appartenevano prima della comparsa saracenica. In una di queste conferme è appunto nominato Robilante, e precisamente nel diploma del 26 gennaio 1041, sulla cui autenticità non vi può essere dubbio alcuno.
In questo diploma Enrico III imperatore conferma a favore di Pietro II, Vescovo di Asti, tutte le donazioni già fatte anteriormente alla Chiesa di Asti, e fra queste « abatiam Sancti Dalmatii cum valle Sexii usque ad Fenestras, Rocha Corvaria et Robulando et Alvergnando usque ad montem Cornium. ».
Robilante quindi, colla valle Vermenagna e Gesso dopo il mille era soggetto civilmente al Vescovo-Conte di Asti. Più tardi l'abate del Borgo diventerà autonomo, e riavrà fin dopo il 1200 la signoria di Valle Vermenagna, ed il Vescovo d'Asti conserverà sopra di Robilante soltanto la giurisdizione ecclesiastica.
La fondazione di Cuneo. - Sulla fine del secolo decimosecondo sorse Cuneo, che si eresse subito a libero comune. Alla sua fondazione concorsero non solo le popolazioni vicine di Boves, Caraglio, Vignolo, Bernezzo, ma anche altre più lontane e fra queste Robilante. Invero tra i 60 decurioni, che formarono poi il Consiglio della nuova città, 30 erano nominati dal nuovo popolo Cuneese, e gli altri 30 dai paesi che avevano concorso alla sua erezione. Robilante ne nominava uno.
Quando nel 1286 un grosso esercito di truppe spagnuole marciò contro Cuneo, tutti i Robilantesi con i valligiani atti alle armi accorsero in aiuto dell'alleata e costrinsero il nemico a darsi alla fuga.
Gli Angioini. - Circa il 1250 Carlo d'Angiò, disceso in Italia dalla Francia, estendeva pure il suo dominio nella valle Vermenagna, ed il nostro paese con alterna vicenda passava quale feudo sotto il Marchesato di Saluzzo e sotto l'Abbazia di Borgo. Diventata poi Cuneo capitale della Contea del Piemonte, Borgo tentò di emanciparsi da Cuneo, cercando nel 1306 di ottenere da Carlo II che gli abitanti di Roccavione e di Robilante lasciassero le loro case e si trasferissero a Borgo per costituirvi cosi una città più popolosa e forte. Il re dapprima accondiscese, ma poi con accorte parole girò la posizione per non disgustare Cuneo, e perciò le cose rimasero come erano. Cosi Borgo non potrà più contrastare alla sua emula, Cuneo, che cresca di potenza e che sempre più acquisti nuovi diritti sulle nostre valli.
Ultima degli Angioini dominò sulle nostre terre la Regina Giovanna di Napoli. Molte leggende corrono sulla vita di questa regina. Così in territorio di Boves : presso i confini di Robilante e Roccavione, è indicata una grotta, che sarebbe stata abitata dalla regina ed è chiamata tuttora il Garb dla Rana Giana. A breve distanza da tale buco i contadini del luogo, sulla cresta del monte, mantengono a ricordo della regina Giovanna una fila di pini, che sono gli unici di tutta la nostra costa montana. Tali pini sono visibili da Cuneo e dintorni: visibili anche da noi, dalla strada nazionale, all'altezza del Cimitero nuovo od oltre.
Una vecchia cronaca dice: «Essa Regina Giovanna essersi ritirata in uno monte et caverna a far penitenza delli suoi peccati, qual monte anchor ora si chiama la Reyna-ostia (Renostia), discosto da d.o loco duo miglia, ecc. ...».
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1934, n. 1, pagg. 2 - 3
Sotto i Savoia. - Nel 1364 Robilante con Roccavione appare già sotto la dipendenza dei Conti di Savoia; ma pochi anni dopo nel 1373, da Amedeo VI detto il Conte Verde, bisognoso di denaro, fu dato in feudo con altre terre vicine al marchese di Ceva. Nel 1382 ritorna sotto la dipendenza diretta e continua di Casa Savoia.
Più tardi, quando nel 1619 Robilante sarà dato in feudo ai Conti Nicolis, il Comune alzerà dignitosa protesta ai Duchi sabaudi, pur timore di vedersi sminuita quella certa libertà che aveva goduto per più di due secoli. " Oppongono i consindici non essersi potuto detto luogo infeudare per essere sempre stato immediato dei Serenissimi Duchi di Savoia et non essere mai sottoposto a Vassallo o Signore mediato " (Archivio Comunale 27 gennaio 1620).
Invero, già prima sotto gli Angioini e poi sotto i Savoia, i nostri Comuni cominciano a godere d'una relativa indipendenza, con proprii statuti codificati, con franchigie e privilegi riconosciuti, e con la facoltà di regolare le questioni di confine coi paesi vicini per mezzo di arbitraggi e trattati.
Un istrumento del 1343. - Che il nostro Comune fin dal principio del secolo XIV godesse di tal libertà e di non pochi privilegi lo prova uno strumento del 21 giugno 1343, esistente nell'Archivio Comunale, e che si riferisce già ad un'altro atto consimile del 1302. Questo documento è il più antico che si possegga. Disgraziatamente sia l'Archivio comunale come quello parrocchiale non hanno altre carte antiche. Le prime sono della seconda metà del millecinquecento. Tale strumento del 1343 è una transazione tra Robilante e Vernante. L'atto fu redatto a Cuneo dal notaio pubblico Abraino di Montealto. Il Sindaco d'allora era Ambrosio Giovanni.
Tale transazione, che regola pascoli, erbaggi ed altre cose tra i due Comuni, fu poi annullata da altra, quasi tre secoli dopo, nel 1621. Tuttavia è interessante per diverse frasi, da cui indirettamente si desumono notizie importanti. Da tale strumento anzitutto appare chiaro che : 1° Agnelli e Vermenera furon sempre di Robilante.
Spesso si sente dire che queste due frazioni, per essere più vicine a Vernante, in tempo antico siano appartenute a quel Comune, e che solo pochi secoli fa siano passate a quello di Robilante, in cambio di altri diritti ceduti. Niente di più falso. Il documento in parola, forse mai rilevato in tempo passato da qualche interessato, taglia al riguardo, come si suoi dire, la testa, al toro. Ecco le parole precise di tale patto. Le due parti tra l'altro pepigerunt... « quod homines Alvernanti possint capere ligna sicca in Agnelio et Valle Manerie, non tamen ligna vivida incidere, causa faciendi ligna sicca». Il che, tradotto in lingua volgare, vuoi dire che il Comune di Robilante, secondo il pattuito, concederà da quell'anno 1343 che "gli uomini di Vernante possan prendere della legna secca in Agnelli ed in Valle Manera, ma che non possan tagliare legna verde col pretesta di fare legna secca ".
Dunque, se già seicento anni fa, Robilante accordava ai Vernantesi di poter far legna secca in Agnelli ed in Vermenera, è segno certo che tali valloni erano in totale sua dipendenza e dominio da molto tempo prima, cioè dal sorgere dei due Comuni. Faccio notare che Vermenera è chiamato Valle Manerie. Sarebbe bene tornare all'antico e più esatto e dire Val-manera. e non Vermenera.
Ma v'ha di più ancora in tale transazione del 1343. Difatti ivi si accenna alla parte dritta di Bralonge, territorio di Vernante, come appartenente ad ambedue i Comuni. Adretum Breelonge, cuus proprietas erat cumunis inter duas universitates - la dreit di Bralonge la cui proprietà era comune tra i due Comuni. Il Comune è chiamato Universitas, Università, solo più tardi si dirà « Comunità ».
2° La Confratria di S. Spirito. - La Confratria di Santo Spirito non è da confondersi con la Confraternita dei Disciplinanti o Cruciata. Le Confratie di Santo Spirito avevan altri scopi, e furono poi assorbite al principio del millesettecento dalle Congregazioni di Carità. A Robilante la Confratria visse di vita lunga e solida, come scriverò poi. E sorse in tempo antichissimo quasi col costituirsi del Comune; e questo è provato dalla surriferita transazione del 1343, dove la Confratria è menzionata come esistente da molto tempo. Invero, si stabilisce che « il Comune di Vernante Universitas Alvernanti, non sia più obbligato a pagare per l'avvenire il tributo di dieci librarum, che era tenuto a dare annualmente nella festa di San Michele Arcangelo alla Confratria del Comune di Robilante Confraties Universitatis Rubilanti ».
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1934, n. 3, pagg. 2 - 3
La Parrocchia. - Contemporaneamente quasi al sorgere ed all'affermarsi del Comune di Robilante, sorge pure la nostra chiesa parrocchiale, come tale, cioè come chiesa secolare e non più come chiesa dipendente ed officiata dall'Abbazia benedettina di Borgo S. Dalmazzo.
Da principio (siamo al secolo XII-XIII) il sacerdote secolare che assumeva la cura abituale di una chiesa e che cominciava a godere di prestazioni e di decime, è chiamato il prete del luogo, poi cappellano curato e più tardi curato, preludendo cosi alla formazione delle vere parrocchie con beneficio stabile e parroco inamovibile.
Il beneficio « cura » parrocchiale di Robilante è antichissimo e non esiste memoria precisa sulla sua costituzione. Pare però che sia stato costituito con beni già prima appartenenti ai frati benedettini di Borgo, i quali certo ebbero non poca parte nel progresso materiale del nostro paese, come quasi certamente nella formazione dei nostri canali irrigatori.
Sotto i Vescovi di Asti. - La nostra chiesa parrocchiale, diventata secolare, passò sotto la Diocesi di : Asti. Quando? La bolla di Papa Innocenzo IV del 1246, che elenca tutte le chiese dipendenti dall'Abbazia di Borgo, non elenca punto le chiese di Valle Vermenagna, ma solo quelle di Valle Gesso : segno quindi che l'Abbazia di Borgo già prima del 1246 aveva perdute le chiese della nostra Valle, divenute secolari e passate in quel frattempo alla dipendenza diretta del Vescovo di Asti.
Nel Registrum del Vescovo Arnaldo di Roseto del 1345, esistente tuttora nell'Archivio di Asti, la Chiesa parrocchiale di Robilante è ricordata fra le soggette alla Pieve di S. Maria di Cuneo e pagava lire otto di cattedratico a quel Vescovo.
Malauguratamente fino al 1550 non possediamo alcun documento che parli delle memorie religiose del nostro paese, né fino a quell'epoca si trova il nome di alcun parroco.
Nel 1403 dovette passare per Robilante San Vincenzo Ferreri, che in quell'anno predicò a Cuneo e pronunciò un arbitrato a Limone. I Robilantesi di quell'epoca sentirono certo la voce di quel gran taumaturgo e predicatore del giudizio universale, che scoteva e commoveva le popolazioni che in massa accorrevano a sentirlo dovunque passasse.
Sotto i Vescovi di Mondovì. - Robilante rimane nella Diocesi di Asti per più di due secoli, fino al 1436. Cuneo fin dal suo sorgere aveva invano cercato di poter essere eretta a sede vescovile e così avere il titolo desideratissimo di città. Quel che Cuneo non potè ottenere che solo dopo sei secoli, l'ottenne Mondovì all'epoca infausta dello scisma Avignonese. Asti con quasi tutto il Piemonte in buona fede parteggiava per Clemente VII, residente ad Avignone. Mondovì tentò allora un colpo audace : passò all'obbedienza di Urbano VI, il vero Papa che risiedeva a Roma, domandandogli di essere eretta in diocesi. Urbano annuì e così Mondovì ebbe un vescovo e titolo di città con bolla 8 giugno 1388.
Eretta così la diocesi di Mondovì e cessato lo scisma, il suo Vescovo, come era naturale, cercò negli anni successivi di estendere la sua giurisdizione su Cuneo e paesi vicini, troppo lontani dal proprio Vescovo di Asti. Cuneo, per un sacro egoismo, fece grande e lunga resistenza, ma dovette poi cedere alle pressioni del Duca di Savoia. Così con bolla di Papa Eugenio IV, nel 1436, Cuneo con Boves, Roccavione e Robilante passavano dalla giurisdizione del Vescovo di Asti a quella del Vescovo di Mondovì. Perciò da quell'anno 1436 e fino all'erezione della diocesi di Cuneo nel 1817, cioè per quasi quattro secoli, Robilante sarà soggetta religiosamente ai Vescovi di Mondovì. Quasi tutte le memorie esistenti nell'archivio parrocchiale si riferiscono a tale periodo storico.
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Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1934, n. 4, pagg. 2 - 3
Pestilenze e carestie. - Il periodo che va dal 1400 ad oltre il 1500 fu per Robilante burrascoso come lo fu in genere per tutta la zona cuneese e gran parte del Piemonte.
Pestilenze e carestie si susseguirono con frequenza originate in gran parte dal passaggio di truppe per guerre continue e per le scorrerie delle così dette compagnie di ventura. Una di tali compagnie (degli Armagnacchi) composta di stranieri in gran parte irreligiosi od eretici, si fortificò sul colle di San Maurizio sopra Cervasca e di lassù scendeva depredando paesi e vallate, distruggendo e facendo scomparire grossi borghi, come Brusaporcello, che era tra Borgo e Boves.
Una prima pestilenza infierì nei nostri paesi nel 1401 che durò un anno e mezzo e consumò quasi i due terzi della popolazione. Quell'anno fu chiamato l'anno della misericordia, perché uomini e donne, grandi e piccini che vestivano abiti di bianco lino, dapprima sparsi nelle campagne, si radunavano, poi s'appressavano ai paesi invocando la misericordia di Dio.
Un'altra pestilenza scoppiò nel 1429 : in tante famiglie infierì così terribile che di certi cognomi non ne rimase più traccia. Cessata la crudele epidemia fu eretta in Cuneo sui bastioni la Chiesa di San Sebastiano ; nello stesso tempo in onore di detto Martire un'altra chiesetta sorse a Boves sulla via di Borgo. A tale epoca deve anche rimontare la costruzione del nostra Cappella di S. Sebastiano, invocato allora quale patrono contro la peste.
Altre pestilenze micidiali infierirono nel 1451 e nel 1472, ed in seguito ancora.
Nella seconda metà del secolo XV ed al principio del secolo seguente, alle guerre ed alle epidemie pestilenziali si aggiunsero grandini costanti e terribili e la fame in certi nostri paesi fu tanto crudele che i contadini erano forzati a sostentarsi di gusci di noce e di gramigna.
Varie cronache, che riguardano Cuneo e dintorni, narrano come nel 1495 una nuova calamità affliggesse le nostre desolate terre: la comparsa delle cavallette. Così il Partenio dice che in quell'anno apparvero in questo territorio due eserciti di volanti animalucci, che schierati in ordine militare, sì fieramente combattevano che cadevano a terra, d'ambe le parti nemiche, morti a grossi mucchi, con puzzo tanto ingrato che fu mestieri seppellirli in fosse profonde, pel timore che infettassero l'aria. Fu questa una delle cause principali della carestia che in quel tempo cagionò tante morti e tanta desolazione.
Il Ricetto. -- Mi pare di porre in questo periodo storico la costruzione e forse già la distruzione in Robilante del Ricetto, di cui restano poche traccie ed il nome del Ruset al tratto di via che va dalla casa comunale alla piazzetta S. Croce.
Il Ricetto si chiamava così dal latino Recintium, luogo cintato, fortificato, con mura e fossi e qualche torre. Era una specie di fortificazione che formava da rifugio in caso di attacco e d'invasione per parte di nemici. La situazione del Ricetto era agli sbocchi delle strade più importanti, e cosi giovava per l'esazione dei diritti di pedaggio, cioè delle tasse per poter passare per il paese che si percepivano nel medioevo.
Il permesso di costruire un vero ricetto veniva dall'autorità reale o ducale e non era concesso tanto facilmente : questo proverebbe che Robilante aveva in quei tempi una importanza non comune. Le mura del Ricetto dovevano correre parallele all'attuale Chiesa parrocchiale, proseguire fin oltre Santa Croce, girare a sinistra comprendendo l'antica casa Consolino, che conserva tuttora la finestra a croce del secolo XV (1470 circa) e poi finire su Rupitone tra il giardino del Municipio e quello del sig. Pepino. Il campanile attuale era certamente una torre del Ricetto e conserva tuttora delle feritoie. La data del 1607, che è incisa su in alto presso le campane, deve denotare l'anno della prima sopraelevazione, quando cioè cessò d'essere torre di fortificazione. La strada nazionale in quei tempi non passava nel Ricetto, ma fuori dell'abitato, proseguendo per l'attuale piazza Olivero e passando sotto il portone.
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Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1934, n. 5, pagg. 2 - 3
Il catasto del 1565. - II primo catasto, di cui si ha memoria, è del 1565. All'uopo il 13 aprile di quell'anno si riunì il Consiglio Comunale nella Chiesa parrocchiale al suono della campana. Assiste il Secretario col chiavaro Battista Mazzardo. I consiglieri presenti Giorgino Giordano, Giovanni Giordano, Pietro Armello, Lazzaro Consolino, Benetimo Bonfiglio, Pietro Astesano, Battista Turco, Giovanni Giordano di Antonio Bernardino Riccio, dopo maturo pensare, unanimi deliberano
« che caduna persona tanto del luogo di Robilante, quanto forestiera, la qualle ha tiene possede, ovvero ha havuto tenuto e posseduto dall'anno millecinquecentotrentasei sino al presente possessioni di qual qualità si vogli, terre lavorative, prative, altenate o sia avineate, boschive, nel finaggio di Robilante, habbi da venir a registrare dette possessioni con loro quantità e qualità nelle mani del secretaro di detta Comunità e con loro giuramento nelle mani di detti segretaro e Giorgino Giordano Considaco, registratori delegati per detta Comunità e questo fra il mezo del mese di maggio prossimo seguente et alla pena di tre luire ducali per caduno chi contra farà »Un secondo, poi un terzo catasto si compilò nel 1610 e nel 1613. Tra le possessioni da registrarsi, oltre le terre prative, lavorative e boschive, vi sono anche quelle altenate ossia avineate, cioè le vigne. Quattro secoli fa la vite era totalmente esente da malattie più redditizia, ed a Robilante era coltivata su scala discretamente vasta. Beati i nostri antenati che producevano e bevevano un vino leggero, genuino, che non poteva alterare le loro facoltà psichiche !
Cose notevoli ed antiche. - Degno di particolare menzione è il grande Crocifisso che è dietro l'altare della Confraternita, nel coro. E' un Crocifisso impressionante, fatto forse sul posto da ignoto scultore locale, ma che pure rivela una arte e molta finezza. I competenti lo fanno risalire al 1450-1500.
Della stessa epoca è la finestra a croce della antica casa Consolino, ora Giordanengo, in piazzetta Santa Croce.
Di poco posteriore è il portone di stile medioevale della casa dei Conti Lamberti di Cavallerleone, ora casa Dalmasso Anna (n. 6 di via Umberto I). Nella stessa casa al primo piano v'è un ampio e singolarissimo camino, del principio del 1600. Tale casa dei Conti Lamberti era anticamente cintata da mura e con diverse torri. Vestigia di tali mura e torri, che dovevano proseguire dal lato della collina fin presso la cappella di San Rocco, si vedono tuttora qua e là. Sotto la torre principale, che dimezzata fa ancora parte della casa verso il cortile, vi era e v'è tuttora una cantina sui generis : una specie di prigione fredda ed umida, cui si calava soltanto da una buca posta nel centro della volta.
I Conti Lamberti avevano pure fin da quel tempo un castello, sopra l'alto di Vignot, dove ora vi è il Tetto Castel. I vecchi ricordano d'aver visto su quell'altura delle mura e delle caverne, che facevano appunto parte del Castello Lamberti.
Di poco anteriore al 1600 è la fontana della piazza principale davanti alla Chiesa. Si vede che fu fatta in due tempi o meglio da due mani distinte, come ben lo dimostrano la parte inferiore (vasca) diversa dalla parte superiore sormontata dalla Croce (coperchio).
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Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1934, n. 6, pagg. 2 - 3
Don Paolo Grasso - È il primo parroco di Robilante di cui si sa il nome. Null'altro si conosce di lui. Dalla lettera di nomina del successore si vede che questo parroco aveva rinunziato alla cura nel 1572, ma non ne è detto il motivo. Nel Sinodo tenuto a Mondovì da Monsignor Gerolamo Ferragata il 18 settembre 1565 (l'anno del primo catasto) Robilante non era rappresentato.
Don Ercole Prieri fu parroco dal 1578 al 1587. Non doveva essere un superuomo, come appare dalla relazione del visitatore apostolico D. Bartolomeo Giorgis del 9 marzo 1583.
Nativo di Chiusa Pesio, ebbe diverse dispense da Paolo III, quando nel 1538 questo Papa era venuto a Nizza, ma non può presentargli le lettere di ordinazione avendole perdute nell'assedio di Chiusa durante la guerra, forse nel 1557 o 1558. Non ha libri. La canonica è vuota e piove dappertutto : non possiede che il letto dove dorme. Non ha cappellani né chierici. La chiesa è ampia, a tre navate, consacrata il 14 settembre (non consta dell'anno) ; conserva il SS.mo Sacramento. Il gran Crocefisso pende dall'arco del presbiterio ; c'è una lampada alimentata dalla Compagnia del Corpo di Cristo; la sacrestia ha suppellettile sufficiente; esistono sei altari con una reliquia di San Donato. Il cimitero è senza porte; i Disciplinanti sono 60 ed hanno un proprio oratorio. Le famiglie sono 200 ; gli abitanti sono 1210. Si è infiltrata l'eresia ugonotta, che fa seguaci. Il Visitatore apostolico cita la moglie di Battista Ascheri che non va mai a Messa e dichiara che si confessa solo a Dio e non ai preti ; interrogata sui libri, presenta les psalmes en rime di Teodoro Bera. Citata a comparire a Cuneo, non si presenta; onde è condannata in contumacia alla multa di lire 50. Il Visitatore lascia avviso di sorvegliare l'istruzione religiosa di Margarita Pellettier di Gosserio, nata eretica e sposata cattolica, perché non ricada nell'eresia. Un altro processo vien fuori contro Antonio Pogetti e Giacomo Sordello di Vernante, ugonotti e renitenti, i quali hanno beni a Robilante sul monte Maladuita. In seguito i beni sono confiscati e venduti, ma il Comune cura i beni a profitto dei condannati, onde ne verrà poi una condanna contro il Comune il 22 agosto 1588 (archivio comunale).
Il Visitatore diffida gli affittavoli della cura Luca Tonduto e Nicola Caraglio residenti a Cuneo, a non consegnare più il denaro al Don Prieri, ed intanto fa ristorare la canonica. Il povero Don Prieri viene a morte nel marzo 1587 in età di 64 anni.
L'eresia calvinista. - Con le invasioni spagnole e francesi per la lunga lotta tra Carlo V e Francesco I, dopo il 1500 i nostri paesi ebbero a soffrire infiltrazioni eretiche calvinista. Tempi infelici erano quelli per la religione e, per la patria. Nel 1574 il Vescovo , di Asti, Domenico De Rovere, venuto in visita nella mostra valle, la trova assai infestata dall'eresia degli ugonotti. Fra questi e gli antichi credenti sorgevano spesso contese e discussioni, che il più delle volte finivano in lotte sanguinose, onde "per evitare scandali e tumulti" in un memoriale al Duca d'Umena 1572 si supplica che non vi sia che una sola religione, la cattolica romana.
Da quanto sopra ho scritto, anche Robilante non fu esente dalla mala pianta dell'eresia, e pare che poi vi siano stati degli eretici fin oltre il 1700. Invero fino a quell'epoca nei conti dei libri parrocchiali, della Confraternita ed anche del Municipio sono sempre annotate delle piccole somme date in elemosina agli « heretici convertiti alla Santa Fede », ai « catholizzati », oppure « alli hebrei fatti cristiani ». Così, per esempio, nei conti della Compagnia del Rosario del 1686 sono segnate in passivo lire 5 e soldi 18 dati a « trenta uno calvinisti et cinque famiglie venuti alla Santa Fede catholica ».
Alla presenza di cotesti protestanti piovuti d'oltralpe e qui stabilitisi, si devono in gran parte ascrivere le difficoltà che a Robilante incontrarono i parroci dal 1600 ad oltre il 1700. Difatti su otto parroci che ressero la cura in tal periodo di tempo (1612-1730) cinque preferirono o dovettero rinunciare ed uno mori avvelenato.
Ringraziamo la bontà di Dio che preservò le nostre valli dal pericolo di diventare protestanti, mentre pure si trovavano sull'orlo dell'abisso, e procuriamo di mostrarci sempre degni di tanto dono della nostra fede cattolica, apostolica, romana.
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Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1934, n. 7, pagg. 2 - 3
Don Matteo Comino - 1587-1612. - È eletto curato di Robilante in seguito a regolare concorso, come consta da una copia della collezione del Beneficio, esistente nell'archivio parrocchiale. Il Beneficio gli fu conferito da Mons. Castrucci, che tiene qual Vescovo la diocesi di Mondovì, a nome del Cardinal Lauri, che è il vero titolare, residente a Roma. Don Comino era nativo di Monastero Vasco e fu parroco zelante ed attivo, lavorando assiduamente a riparare i mali precedenti. Riceve la visita pastorale di Mons. Castrucci il 20 agosto 1593, e poi un'altra il 7 settembre 1599 in cui denuncia come abitanti presenti 844, di cui 427 si sono comunicati a Pasqua. Interviene a Mondovì a due Sinodi di Mons. Argentero. Sotto del Don Comino incominciano gli atti parrocchiali di Nascita e Battesimo, ecc. Si inizia così lo Stato Civile di Robilante, e questo in ossequio alle disposizioni del Concilio di Trento.
Nel 1609, alla presenza del segretario della Curia Vescovile di Mondovì, parroco e Comune s'accordano per la lite vertente sulle decime « sendo sindici del presente luoco di Robilante Pietro Vescovo et Antonio Mazza ». In tale vertenza di mutuo accordo è convenuto che si debba dare al Parroco di trenta uno di semola, spelta, marzola, avena, ecc. In tale convenzione è inoltre stabilito « che detta Comunità di Robilante debba mantenere la luminaria (olio della lampada) et pagar per il passato (e cioè per gli anni, in cui più non si era pagato) per la metà » (Archivio parrocchiale).
Il Don Comino muore alla fine del settembre 1612. Invero il Consiglio Comunale, radunato il 23 settembre, delibera che in caso che il « Curato passi da questa a miglior vita, li sindaci si debbano farsi dare le chiavi della Chiesa » e poi fare l'inventario dei mobili e tenerseli presso di loro a fine di evitare qualsiasi inconveniente che possa avvenire a danno della Chiesa.
Il 23 settembre, giorno del raduno consigliare, il Don Comino doveva esser morente, perché da una correzione del verbale stesso di quella seduta risolta che il Don Comino è poi già trapassato a vita migliore.
Il parroco successore, nominato come si vede per direttissima, farà già il suo solenne ingresso alla fine d'ottobre dello stesso anno 1612.
Notizie curiose. - Dall'inventario dei beni della Cura parrocchiale ai tempi del Don Comino risulta che la Canonica (l'attuale Municipio) « è dentro il Ricetto, consorte la via pubblica e li orti di Santo Spirito ».
Curiosi per noi sono certi diritti ed obblighi del Curato del tempo, che riporto dall'archivio parrocchiale.
« Alla sepoltura delle donne, se è cappo di casa, si porta l'emina di grano et una gallina viva, all'esequie si porta quaranta due miche con suoi cirioti ».
« Nel levar le donne di parto si dà al Curato quattro miche bianche, una mezza di vino con duoi soldi ducali. Il Curato gli dà una candela quando va all'altare ».
« Quando si battezza, il Curato gli presenta una torchia per accompagnar il battezzato a casa, danno al Curato un soldo ducale per il consumo della Torchia ».
« Al Natale, la festa di Santo Stefano, il Curato fa una carità per distribuir in Chiesa; l'istesso giorno da una collatione alli cantatori " ».
« Doppo la festa dell'Ascensione, osia avanti li tre giorni di Penthecoste li Prioli donano al Curato una treina, di quelle che conducono dalla Roida " ».
« II mercarè, doppo li tre giorni di Penthecoste, il Curato canta Messa da requiem, presente li Prioli, quali con molte altre persone portano poi all'offertorio un cerioto di un'oncia per caduno; et finita la Messa conducono il curato a desinare in compagnia loro per ricompensa " ».
« Per la domenica della Ramoliva il Curato è in obbligo di mandar pigliar sopra il finagio di Limone duoi sommate di busso per distribuir al populo ».
« II Curato non è obbligato a far sonar baudeta ad alcuna festa dell'anno, né tam puoco a far sermoni alle sepolture " ».
Le pagine che riferiscono questo ed altre cose del genere sono approvate e vistate dal segretario del Vescovo di Mondovì De Miglioris.
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Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1934, n. 8, pagg. 2 - 3
La processione a Borgo S. Dalmazzo nel 1594.
- In tale anno il Vescovo di Mondovì Mons. Castrucci fece a Borgo una ricognizione delle reliquie di S. Dalmazzo. Trovate garanzie di autenticità, ripose un osso del capo in apposito reliquiario d'argento, e per commemorare il fatto ordinò una solennissima processione. All'uopo ottenne da Sua Santità Clemente VIII l'indulgenza plenaria per chi avesse preso parte a quella prima solenne processione, in cui si sarebbe portata quella Santa Reliquia.
I buoni Robilantesi parteciparono in massa col loro Curato Don Prieri a tale processione in onor del primo i apostolo e martire della nostra valle, San Dalmazzo.
Credo utile riferire la seconda parte dell'ordinanza vescovile, diramata in tale occasione :
« ...Ordiniamo a tutti li Curati a quali saranno presentate queste nostre, che debbano nella prima Messa pubblicare detta Indulgenza, con essortare i popoli, huomini e donne efficacemente a trouarsi ad onorare essa processione diuotamente, conseguire il tesoro di tanta grande indulgenza, con pregare anco il Signore per la Santità del Sommo Pontefice, per Sua Altezza Serenissima, per la Serenissima Infanta, Serenissimi Prencipi, e per noi ancora. - A confessarsi e comunicarsi prima chi havera la commodità. Essortino di poi tutti a fare qualche oblatione, o come si dice offerta alla Santa Reliquia conforme all'antico uso della Chiesa. - Digiunare il sabbato precedente. Tutti li Curati delle Terre vicine faccino suonare per segno la sera auanti le campane solennemente. Invitino particolarmente le compagnie de Disciplinanti e li essortino per parte nostra a trouarsi con le cappe, e croce alla processione diuotarnente con ordine. - Finalmente tanto essi Curati vicini, quanto altri Sacerdoti, non hauendo legittimo impedimento, detta la Messa alle Chiese loro a buon ora, si trouino similmente alla processione con l'habito longo, et chierico, vestiti di cotta, e sopra con la pianeta più bella et honoreuole che habbiano, e con loro potranno venire i populi diuotamente. Dato in Mondovì li 3 ott. 1594. - Gio. Antonio Vescovo ».>
Robilante, una delle Sette Terre. - Il nostro paese, che dalla fine del XIV secolo era sotto i Savoia, aveva però una certa quale dipendenza ed unione con Cuneo. Con Roccavione, Borgo, Andonno, Roaschia, Valdieri ed Entraque formava la " valle " ovvero l'unione delle Sette Terre, e Cuneo era la città, la sede di tale mandamento.
È notevole una transazione avvenuta nel 1601 tra Cuneo da una parte e le Sette Terre dall'altra. Tale atto fu redatto a Cuneo nel palazzo di Sua Altezza Serenissima, abitazione del Governatore. Per Robilante è presente e firma il procuratore e consigliere Honorato Vescovo.
In tale transazione tra l'altro si stabilisce che « la valle (le sette terre) nel carigo del focaggio e del Tasso, che si paga a Sua Altezza Serenissima, debba concorrere con la città per il terzo » - « che la valle per li altri carighi militari e straordinari concorra per il quinto » - « che nel caso di alloggiamenti dei soldati sia la città, sia la valle reciprocamente debbano sopportare li suoi senza altro reciproco concorso » - « che la città non debba concorrere in alcun carigo con la valle, etc. ». (Archivio Comunale).
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Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1934, n. 9, pagg. 2 - 3
Don Filiberto Madelli, 1612-1620 - Questo parroco era della città di Cuneo, e prima di venire a Robilante era vice-curato nella parrocchia della Madonna del Bosco (Duomo). Prende possesso il 28 ottobre 1612, festa dei Santi Apostoli Simone e Giuda, con grande letizia dei robilantesi, alla presenza « di Giacomo Franza, sindaco in quel tempo di Robulante, et una grande moltitudine di populo » (archivio parrocchiale). Interviene ai Sinodi di Mons. Argentero a Mondovì: 13 novembre 1612, 20 novembre 1613, 8 aprile 1614, 28 aprile 1615, 12 aprile 1616, 4 aprile 1617, 6 giugno 1618. Incontra gravi difficoltà, per cui rinuncia nel 1620 alla cura, permutandola col parroco di Castelletto Stura, Don Michele Negri, che viene così a suo posto a Robilante.
In quest'affare della permuta tra il curato Don Madelli e del nuovo curato Don Negri, compare la prima volta il Conte Nicolis di Robilant, che presta il suo ufficio all'uopo. Difatti i consiglieri G. Battista Ghiglione e G. Battista Consolino sono deputati ad andare a ringraziare il Vescovo di Mondovì ed il Conte Nicolis « per l'avvenuto cambio del Curato e loro sono rimborsate le spese incontrate » (archivio comunale 1620)
I Conti Nicolis di Robilant. - Nel 1619 Casa Savoia concede Robilante in feudo ai Nicolis, oriundi di Varallo. Il Consiglio Comunale, in data 27 gennaio 1620, fa sentire la sua viva protesta a Sua Altezza Serenissima, ma lo scopo non è raggiunto, e Robilante deve essere infeudato ai Nicolis, che si chiameranno nei documenti « i signori del luogo » e solo più tardi « i Conti di Robilant ». Avrebbero dovuto chiamarsi « Conti di Robilante » e non « di Robilant », perché Robilante è sempre stato un paese italianissimo nel nome e nei fatti, e mai un paese francese.
Riuscito vano il tentativo di sottrarsi al feudatario, imposto dal Duca di Savoia, il Comune spedisce subito un memoriale ai Nicolis : memoriale che ha molta importanza perché riferisce diritti e privilegi goduti in antecedenza dalla popolazione robilantese. Trascrivo la prima parte di tale documento.
« M. Ill.re Signore,
« Se ben havessero la Comunità et huomini di Robilante cagione da dolersi della nuova infeudatione, tuttavia, poiché così ha piaciuto al Sommo Iddio et a S. Altezza Serenissima, non possono se non giubilare et rallegrarsi di essere riddoti sotto la felice protezione et ubidienza di V. S. M. Ill.re, della quale e dei suoi descendenti e successori resteranno detta Comunità et huomini perpetuamente devotissimi sudditi, assicurandosi che a prova di quella non ritroveranno modificatione né imminutione alcuna di loro franchigie, giurisditioni, libertà et immunità, de quali sempre hanno goduto e posseduto quietamente e pacificatamente come uniti al mandamento della città di Cuneo, ma da più presto dalla benignità sua riceveranno maggiori et aggraditi gessioni dalla quale pertanto raccorrendo humilmente la supplicano degni aggredir la buona volontà di essa Comunità et huomini et in consideratione di quella affinchè all'avvenire possino continuarli la dovuta affetione et ubidientia senza causa di doglianza resti servita accordarli l'infrascritti cappi, il che et meglio sperano ottenere ... ecc. ecc. » (archivio comunale 1620).
Ma ragioni di doglianza sorgono presto. L'anno dopo, 1621, sorge già una lite contro " il Nicolis signor del presente luoco " per bandi campestri. Nel 1622 interviene un accordo tra il Nicolis ed il Comune, e tra l'altro il Conte concede ai robilantesi di andare a caccia nel territorio di Robilante e di pescare nel fiume Vermenagna, ed al Conte si darà « ogni anno a San Martino 10 scudi d'oro d'Italia » (archivio comunale 1622).
I Conti Nicolis risiedevano normalmente a Torino, saltuariamente a Robilante, dove divennero proprietari dei caseggiati e del sito delle attuali case Dalmasso Sebastiano, Giordanengo Nicolao, Giordanengo Bartolomeo fino « al tribunale », proprietà ora di Pepino Ettore. Dietro i fabbricati v'era il cortile, che tuttora è chiamato « il cortile del palazzo », ed il giardino che si estendeva fino al bedale.
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Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1934, n. 10, pag. 3
Per il monte Colombo. - Da tempo Robilante pretendeva di avere il diritto di pascolare il suo bestiame sulla montagna Colombo sita in territorio di Vernante. Naturalmente Vernante non voleva riconoscere tale diritto. Ricorsi i contendenti al Duca di Savoia, i robilantesi ebbero la peggio e furono proibiti di recarsi a pascolare sul Colombo sotto pena di mille scudi d'oro.
Pare però che quella sentenza ducale nei fatti sia stata lettera morta, ed i robilantesi, nolente Vernante, continuarono a pascolare sul Colombo. Così, per esempio, come risulta dall'Archivio comunale, l'8 gennaio 1618 si inette a pubblico incanto « l'herbaggio della montagna del Colombo » essendo allora « sindici Petrino Lamberti e G. Battista Ghiglione ». Nel 1620 il consindico Consolino riceve per il fitto « dell'herbaggio della montagna di Colombo » L. 800.
Nasce quindi una nuova lite tra Robilante e Vernante per il Colombo e per altre divergenze. Invero nel 1620 i due consiglieri più abili, Ghiglione e Consolino, vanno a Torino per vedere se si può raggiungere un amichevole accordo per la lite « che la Comunità ha contro quella di Vernante per causa del finaggio ». L'opera dei due consiglieri raggiunge lo scopo prefisso il 20 febbraio 1621.
Nuovo accordo con Vernante. - Con tale convenzione del 20 febbraio 1621 vengono annullate ed abolite le transazioni tra Robilante e Vernante del 21 giugno 1343, del 2 agosto 1430, del 2 ottobre 1490 e tutte le altre posteriori « insino al presente giorno ». L'atto fu fatto con solennità e firmato per parte di Robilante dal luogotenente Pietro Meiranesio, da G. B. Consolino consindico e dai consiglieri Petrino Lamberto, Pietro Vescovo, G. B. Ghiglione, Bartolomeo Vigna, Paolo Caraglio e steso da Cesare Vescovo « notaro ducale e segretaro della Comunità di Robilante ».
In tale atto si premette « et primo che tra dette due Comunità et huomini sempre per l'avvenire et in perpetuo debba esser buona pace, unione e concordia, come si conviene fra Christiani vicini e veri amici ».
I punti principali di tale accordo furono : 1° le due parti rinunciano a proseguire le liti vertenti fra loro avanti l'Eccellentissimo Senato; 2° si aboliscono le transazioni antecedenti ; 3° i particolari di Vernante si obbligano ai carichi e spese di Robilante in proporzione dei beni da loro posseduti in Robilante; e questo rinuncia all'erbaggio del Colombo e paga inoltre a Vernante 300 ducatoni e 16 fiorini
Così si pose fine alla lunga controversia, e tra i due paesi regnò poi sempre quella vera amicizia che « si conviene fra Christiani vicini e veri amici ».
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1934, n. 11, pagg. 2 - 3
Don Michele Negri da S. Albano Stura fece il suo ingresso solenne il 28 ottobre 1620. Dottore in teologia e priore della Facoltà Teologica dell'Università di Mondovì, già parroco di Castelletto Stura dal 1615, permutò la parrocchia con Don Madelli e la permuta fra i due fu successivamente approvata forma canonica. Il 7 marzo 1621 il Comune ringrazia il Vescovo di Mondovì di tale parroco. Il Don Negri procede di buon accordo con il Comune e con i parrocchiani. Nel 1623 riceve la visita pastorale di Monsignor Ripa. Fa parecchi restauri alla Chiesa col con corso del Comune. Così il Comune il 14 agosto 1622 manda a pagare 14 ducatoni per il mortaro per l'acqua benedetta fatto a Frabosa e che « è riuscito di bella fattura ».
Da ordinato 1 novembre 1626, « siccome il campanile del presente loco minaccia rovina con pericolo di damnificar la Chiesa e campane », si ordina di ripararlo dalla parte verso la Chiesa « in quel miglior modo si potrà ».
Nello stesso ordinato si legge : « qualmente la fontana del presente luoco si trova affatto rotta e non si trova in questo luoco mastro adatto a riparare, se ne manda a chiamar altro ad Entraque ».
Il buon parroco muore vittima generosa della peste bubbonica alla fine di settembre 1630.
La peste del 1630-31. - Delle pestilenze che pei dolorosi effetti lasciarono maggiore impronta in Robilante, la più degna di menzione è quella che terribile infierì nel 1630-31 nel Piemonte e nella Lombardia e che così magistralmente è descritta dall'immortale Alessandro Manzoni, il quale ne attribuisce l'origine al costante passaggio di truppe francesi, spagnole e tedesche che avevano invaso l'Italia superiore.
A Robilante scoppiò con violenza nel luglio 1630. Con ordinato 4 agosto il Consiglio Comunale « tutt'unanime e concorde ha ordinato doversi fare, come fa voto di andare alla Madonna Santissima di Vico, e insieme offrir per limosina ducatoni 12 per pregarla si degni pregare N. S. Giesù Christo, perché si degni liberarli da tanto male ». Il 22 agosto il Comune da mano ad edificare (credo sia solo restaurare) la Cappella votiva dei Santi Gregorio e Rocco. Colpito dal morbo, vittima della sua carità, muore alla fine di settembre il parroco Don Michele Negri, ed allora spontaneamente e caritatevolmente il priore di Roccavione Don Bartolomeo Giaccone assiste anche gli appestati di Robilante. Anzi mancando il nostro Comune di denari per soccorrere i malati, ottiene in imprestito e senza interesse dal generoso Don Giaccone 85 doppie. Il 13 settembre il Comune ordina di prendere per i poveri miserabili contagiosi « dagl'affittavoli delli Molini di Santo Spirito tanta segala, quanto farà bisogno ».
Aumentando il male, il Consiglio Comunale non si può più tenere nella casa del Comune, e si terrà ora presso la Cappella di San Rocco, ora nella piazza di Robilante, sotto l'olmo piccolo, ora nella Chiesa Parrocchiale in una stanza presso il campanile. Il 7 novembre invece la seduta è tenuta « alla Losera della via del Drago et Rippa di Giacomo Dalmasso ».
L'11 novembre, crescendo sempre più la peste, si prende questa curiosa deliberazione: « Più detto Consiglio per evitar al danno che potrebbe causarsi alle persone parlando insieme tanto vicino l'una all'altra, che dal fiato si potrebbero infatare et accrescere maggiormente dal male contagioso, ha ordinato et prohibito che d'hor all'avanti nessuna persona possi ragionar né marchiar, passeggiar o parlar con l'altra, salvo che vi siano distanza l'una dall'altra almeno duoi trabuchi et salvo anco che siano d'una stessa casa et che abitino insieme, sotto pena di 10 scudi d'oro, applicabili un terzo al fisco, altro all'accusatore, l'altro alla Cappella delli Santi Gregorio e Rocco del presente loco ».
Il freddo invernale fa diminuire il numero degli appestati, ed allora il Comune stabilisce di portare le capanne della quarantena, situate oltre Vermenagna, « in sito che non abbiano tanto freddo, più sano e più propinquo alla terra ».
Il 27 maggio 1631 il Consiglio è convocato di nuovo nella Casa Comunale, essendo già quasi scomparso il morbo contagioso.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1934, n. 12, pagg. 2 - 3
Don G. B. Jachino - Questo parroco, che successe al M. R Don Negri, vittima eroica della peste del 1630, era nativo di Bagnasco. Venne a Robilante circa la metà di settembre del 1631 e resse la parrocchia fino all'ottobre del 1648. Il successore non prese possesso della Cura che nell'ottobre del 1649: in quei dodici mesi di vacanza, fu deputato quale Vicario il Rev. Don Giovanni Cigna.
In quegli anni vi doveva essere una grande miseria in paese, come pure nei paesi circonvicini, miseria causata in parte in conseguenza della terribile peste del 1630-31, ed in parte dal grave travaglio in cui si trovava il Piemonte per la guerra civile originata dai dissidi fra Madama Reale di Savoia ed i suoi cognati Principi Tomaso e Maurizio, dissidi sorti a cagione della tutela sull'erede del trono, Carlo Emanuele.
Si comprendono così certe disposizioni draconiane, a base di fortissime multe, che altrimenti non si saprebbero bene spiegare. Ad esempio, il 9 giugno 1641, il Consiglio Comunale proibisce, tra l'altro, di tagliar né far tagliar alcuna pianta, né branca d'arbori di castagna nelli boschi della Chiusa, Confratria di S. Spirito, Cruciata (S.. Croce) et Capele del presente luogo, che di qualsivoglia altro particolare o forestiere, sotto pena di uno scudo d'oro per caduna pianta et mezzo scudo per caduna branca in quanto ai boschi dei particolari - et nelli altri della Chiesa, Confratria, Cruciata et Capele il doppio di più : un terzo da darsi al fisco, uno all'accusatore et uno all'interessato.
Cappellania dei SS. Pietro e Paolo.
- Nel 1646 fu eretta nella Chiesa Parrocchiale, all'altare allora esistente e dedicato ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, una Cappellania o Beneficio. Fondatore ne fu il Messer Petrino dei Conti Lamberti, signori di Cavallerleone e di Castelletto Stura. Nell'Archivio Parrocchiale esiste la copia originale del testamento del 18 gennaio 1646, rog. Vescovo, redatto alla presenza di diversi testimoni quali il Molto R.do Prete sig. Gio. Battista Jachino di Bagnasco, curato del presente luogo, R.do Prete M° Filiberto Martina di Boves, maestro di scola habitante in Robilante, M° Mauritio Giordana, Paolo Caraglio, Bartolomeo Ghiglione, Giacomo Giordanenco del presente luogo di Robilante.
Ivi il testatore Petrino Lamberti lega alla sua Cappella esistente nella detta Chiesa di Santo Donato, sotto il titolo dei Santi Pietro et Paolo, per sua dote una pezza di terra cultiva e prativa di due giornate... coll'obbligazione d'una Messa settimanale perpetua, " col diritto al più vecchio membro di Casa Lamberti di eleggere e nominare chi meglio gli parrà a Cappellano di essa Cappella.
In virtù di altro testamento 21 marzo 1661, rogato Tosello, il figlio di detto « Messer Petrino » il Luogotenente Cesare Lamberti, per supplemento a detto benefizio assegnò altre nove giornate di bosco castagneto, col peso annesso perpetuo di Messe tre settimanali perpetue.
I conti Lamberti sul finir del secolo decimosettimo si trasferirono a Castelletto Stura, ed i beni componenti il beneficio sopradetto furono venduti all'epoca del dominio francese in Piemonte e trasferiti pure a Castelletto Stura.
L'altare di S. Pietro e Paolo, a cui era annesso questo beneficio o Cappellania, fu demolito dopo il 1800, al tempo del Governo Francese.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1935, n. 1, pagg. 2 - 3
Le memorie di questo periodo storico le passerei volentieri sotto silenzio; ma è canone fissato da Papa Leone XIII che la storia, come non deve dire nulla di falso, così « non ardisca non dire quello che è vero ». Altrimenti la storia più non sarebbe la maestra della vita. Dei cinque parroci che ressero dal 1650 al 1731 la nostra parrocchia, quattro rinunziarono ed il solo che morì in paese fu avvelenato. Le difficoltà incontrate dai parroci si devono ascrivere a cause varie, nè vennero mosse che da una parte dei parrocchiani. Difficoltà quasi uguali trovarono in quei tempi anche altri parroci di paesi vicini ; rinunziare allora alla parrocchia, dopo un certo periodo di tempo, sembra in quel secolo fosse all'ordine del giorno.
Ritornerò su questo periodo storico nei prossimi numeri, fermandomi specialmente sulla costruzione della attuale Chiesa parrocchiale deliberata nel 1683. Riporterò questa volta soltanto quello che scrisse in una breve cronistoria il parroco Don Bersezio (sic) che venne a Robilante nel 1731. Neppure dunque una parola di mio, ma le parole scritte dal prelodato Pievano Berzesio.
- Don Ramondeto Giorgio - 1649-72. - « L'anno milleseicentoquarantanove fu eletto per curato il Rev.do prete sig. D. Giorgio Ramondeto di Villanova e prese il possesso della parrocchia sul fine di ottobre. Questo fu il primo che fu onorato dal titolo di Pievano e continuò a reggere la cura sino all'anno 1672, nel qual anno la rinonziò al suo nipote, il Rev.do prete sig. D. Raimondo de Ramondeti. »
- D. Raimondo de Ramondeti - 1672-1688. - « Il su scritto sig. Pievano Raimondo de Ramondeti continuò a reggere la cura sino al fine del mese di luglio dell'anno milleseicentoottantotto, nel qual tempo morì avvelenato, come si ha per tradizione. »
- Don Paolo Antonio Ramberto - 1688-1695. - « L'anno 1688 fu provvista la presente Pievania nella persona del Rev.do prete sig. D. Paulo Antonio Ramberto di Vinadio, sacerdote dotto e santo, il quale continuò sino al anno milleseicentonovantacinque, nel qual tempo essendo caduta vacante la cura di Vinadio sua patria, attesi i gran disprezzi che riceveva da 4 parrocchiani, si portò al concorso e la guadagnò. Fra gli altri disprezzi che ha ricevuto, una mattina portandosi a bon hora, secondo il solito, ad aprir la chiesa, ritrovò alto un cubito di sterco per tutta la scala. Vero è che i delinquenti sono stati da Dio puniti ed in spezie i mandanti, i quali di commodi che erano sono divenuti maschini, sono morti senza aver il bene di ricevere i Santissimi Sacramenti, eccetto l'ultimo, che per altro fu mangiato dai pedochi. »
- Don Domenico Ramondeto - 1695-1724. - « L'anno del Signore 1695 fu eletto per parocho della presente pievania il Rev.do sig. Don Domenico Ramondeto, vicario della Trinità, e ne prese possesso alli venti uno del mese di settembre, e continuò a reggere la cura sino all'anno millesettecentoventiquattro, nel qual anno la resignò al suo degnissimo nipote il Rev.do sig. Don Barnaba Bernardino Ramondeto, oggidì prevosto di Morozzo. »
- D. Barnaba Ramondeto - 1724-1731. - « L'anno del Signore 1724 et alli dieci del mese di dicembre il Rev.do sig. D. Barnaba Bernardino Ramondeto ha preso possesso di questa pievania resignatagli dal signor suo zio, e continuò a reggere la cura sino al anno millesettecentotrentauno, nel qual tempo essendo stata vacante la prevostura di Morozzo, non puotendo più vivere con quiete in Rubilante attese le liti che gli aveva mosse la Comunità, si portò al concorso e ne fu provvisto. »
« L'anno millesettecentotrentauno, essendo vacante questa pievania, ne fu provvista in persona di me Giuseppe Donato Berzesio fu Carlo Andrea di Peveragno, e ne ho preso possesso alli ventinove di maggio del suddetto anno. E sa bene Iddio m'abbia mandato a Rubilante per castigar questo popolo in pena del poco rispetto portato ai miei antecessori, non avendo io né virtù né dottrina; hora però hanno aperto gli occhi, e per non soggiacere a più gravi castighi mi hanno sofferto con pazienza e spero che continueranno a soffrirmi. »
Così finisce la cronistoria dell'umile e dotto Don Berzesio, che visse abbastanza in pace coi suoi parrocchiani fino al 1770, cioè per 39 anni.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1935, n. 3, pagg. 2 - 3
In diverse relazioni del Pievano Don Viani e dei miei antecessori è scritto che la Chiesa attuale fu rifabbricata dalle fondamenta tra l'anno 1637 e l'anno 1645. Avremmo perciò dovuto fra pochi anni solennizzare il 3° centenario. Ma la data va corretta e la festa centenaria dovrà prorogarsi... di mezzo secolo: la celebreranno i nostri piccoli.
Compulsando invero l'archivio comunale, fortunatamente mi è venuto fra le mani un documento importantissimo, sfuggito fin ora ad altri, cioè la stessa capitolazione fatta tra il Comune e l'impresario « a cui sarà deliberata la fabbrica della chiesa », e tale documento porta la data del 14 agosto 1683.
La ricostruzione della chiesa nella forma attuale (eccetto il coro semicircolare costruito solo nel 1791) fu dunque iniziata nel 1684 ed ultimata forse già nel 1687. Ciò d'altronde risulta in modo certissimo anche da notizie frammentarie dei conti parrocchiali di quegli anni.
Credo che nella ricostruzione della nostra chiesa non sia stato estraneo un certo sacro egoismo. Robilante fu sempre in buoni rapporti con la confinante Boves. Ora il Municipio di Boves ordinò la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale (l'attuale) nel 1670 e compiutala la inaugurò nel 1675. I robilantesi, soliti a portarsi a Boves, vedendo quella nuova chiesa parrocchiale più ampia e più bella dell'antica, avranno desiderato di fare altrettanto nel proprio paese, ed ecco maturare e poi attuare l'idea d'aver anche loro una più degna casa del Signore.
La capitolazione del 14 agosto 1683 porta la firma del segretario Lamberti. Non dice chi sia l'ideatore od architetto; ma rende noto che « chi vorrà attendere all'impresa di detta fabbrica della chiesa potrà comparire per il 16 agosto nella piazza pubblica circa le ore vinti et vinti una ». Il materiale sarà a carico dei « sindici et elletti »; il resto (corde, cazzuole, martelli, ecc.) a carico dell'impresa. In quanto « ai pagamenti della fattura di essa fabbrica si facciano a ragione dell'opera fatta di anno in anno, parte alla mettà et parte alla fine dell'opera che si farà volta per volta ». Nella capitolazione si parla pure di demolizione di muraglie sia interne, sia esterne : segno quindi che l'attuale chiesa nostra fu ricostruita più ampia e più bella sul posto stesso dove sorgeva già l'antica parrocchiale. Il campanile attuale invero preesisteva già.
Chi fu l'impresario della nuova costruzione ? Certo Carlo Ciceri di Chiusa Pesio. Forse fu il costruttore della parrocchiale di Boves. Da un opuscolo stampato da Mons. Calandri nel 1875 in occasione delle feste fatte a Boves per il 2° centenario di quella chiesa, non consta chi sia stato l'impresario. Ma credo che sia stato pure il Ciceri, che certo doveva godere fama di buon impresario per costruzioni del genere. Invero i nostri sindaci del 1683 ci tenevano che il Ciceri si trovasse al bando del 16 agosto e fosse lui il deliberatario, tanto che nel libro dei conti di quell'anno si legge: « per mandato un espresso alla Chiusa per chiamar M.° Carlo Ciceri per far oblazioni per la redificatione della chiesa, soldi 10 ».
Il costruttore della attuale nostra chiesa fu dunque uno di Chiusa Pesio. Anche i capimastri alla dipendenza del Ciceri non dovevano essere di Robilante, ma forestieri, e questo lo deduco dai conti dalla Compagnia del Santissimo dell'anno 1684 dove si legge : « pagato per tre linsoli rimessi ai capimastri della fabbrica della chiesa L. 5 soldi 10 ; più pagato per una pezza di tella per fare una pagliazza alli detti capimastri della chiesa L. 3 ». Se fossero stati del paese, non sarebbe stato necessario provvedere loro lenzuola e pagliericcio.
I mattoni per la nuova fabbrica vennero cotti sul posto, così presi e preparati in paese i losassi, così pare che pure la calce fosse cotta sul luogo. Trovo invero in un posto notate L. 3 « per pane e vino per li lavoranti che han fatto la legna per il fornace di calcina ».
La spesa per la nuova chiesa dovette essere sostenuta dal Comune, coadiuvato dal parroco e dai massari delle Compagnie.
Disgraziatamente mancano in Municipio i libri dei conti degli anni 1685-90; che altrimenti verremmo forse a sapere quanto precisamente costò allora la nuova costruzione ed altre notizie preziose. Anche nell'archivio parrocchiale mancano i conti della Compagnia del Santissimo degli anni 1685-86-87, forse perché tutto fu dato all'impresario; forse per le difficoltà incontrate dal parroco d'allora Don Raimondo De Ramondeti, che morì poi avvelenato nel 1688.
Ad ogni modo è certo che se l'iniziativa della costruzione della nuova chiesa parrocchiale deve essere partita dal Comune, tutti concorsero generosamente alle spese, sopratutto il parroco e le Compagnie religiose. Così nei conti comunali del 1684 sono registrate L. 200 avute dal pievano Don Ramondeti ; così nei conti della Compagnia del Rosario dello stesso anno 1684 i massari dichiarano non « aver tenuto nota di tante collette, rimesse per dar alla fabbrica della chiesa come per ordine del M.° Ill.re Vescovo di Mondovì ». Nei conti della stessa Compagnia dell'anno successivo 1685 son date « alli sindici per la fabbrica della chiesa L. 30; altra volta di nuovo L. 30 ». Nel 1687 ancora nei conti del Rosario si legge : « più datte a M.° Carlo Ciceri, impresario della fabbrica della chiesa, con accettazione e licenza di Monsignor Vescovo, L. 50 ».
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Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1935, n. 4, pagg. 2 - 3
Come ho dimostrato nel numero precedente, la nostra Chiesa parrocchiale fu ricostruita nell'anno 1684 e seguenti. Era però meno lunga d'adesso, mancandovi ; ancora il coro attuale a semicerchio, che fu costruito un secolo dopo. Fin da principio vi erano già, oltre l'altare Maggiore, gli altari del Rosario e del Suffragio ed i quattro lungo le navate, due per parte. L'euritmia della nostra bella Chiesa fu conservata fino a quando, un vent'anni fa, fu aggiunto l'altare di Lourdes, che dov'è rappresenta una stonatura, e che la Commissione I Diocesana d'Arte Sacra non permetterebbe assolutamente più. Gli altari erano in muratura, ed in marmo furono costruiti solo dopo il 1800. I due cupolini dell'altare dei Suffragio e del Rosario pure sono posteriori alla fabbrica della Chiesa : furono costruiti nei primi anni del 1800.
L'attuale altare Maggiore, bello e grandioso, che arieggia stil impero, è bensì quasi del tempo della costruzione della chiesa, ma apparteneva alla Chiesa dei Padri Conventuali di Mondovì Piazza, da cui proviene per compera fatta nel 1806, dopo la soppressione dei Religiosi ai tempi di Napoleone. Così dello stesso tempo è il magnifico altare della Madonna del Rosario, di stile juvaresco, che proviene dall'Eremo dei Padri Francescani di Busca, in data 1808, pare in seguito a compera, come a suo tempo parlerò.
Costruita la chiesa e pagate le spese, si pensò a lavori accessori. Cosi il 10 ottobre 1700 tra i consiglieri comunali e gli esperti indoratori G. Domenico Lumello e Matteo Giacomasso si stipulava un contratto per indorare il tabernacolo della chiesa parrocchiale. Il lavoro costò L. 550 ducali e fu pagato per un terzo dal Comune e per due terzi dai massari del Santissimo. Il Lumello fece altri lavori di pittura e di indoratura alla Confraternita di Santa Croce e per il baldacchino della chiesa parrocchiale.
Due anni dopo, il 13 ottobre 1702, il Consiglio Comunale risolve di far fare « la balaustrata avanti l'altar Maggiore della Chiesa parrocchiale e commette l'opera al signor Carlo Piazzolo del lago di Como ». Comaschi erano in quel tempo i migliori marmoristi. Si stabilisce che l'opera dev'essere ultimata entro il mese di maggio del 1703 e fatta secondo il disegno presentato, cioè « tutti i balustri e mezzi balustri dovran essere di alabastro di Busca ; le cornici e la bassa di pietra negra di Vernante; le placche di giallo di Verona ». Il prezzo fu convenuto in lire quattrocentotrenta ducali. Il lavoro fu compiuto bene e pagato tutto dal Comune, come risulta dal libro dei conti.
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Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1935, n. 5, pagg. 2 - 3
In questo periodo non succedono cose di notevole importanza. Nel 1698 il Comune delibera la reedificazione della Cappella dei Santi Gregorio e Rocho, spendendovi lire 550, bilanciate 300 nel 1699 e lire 250 nell'anno dopo.
Nello stesso anno, come appare dagli Ordinati comunali, la casa municipale comincia a dirsi « casa del Comune » e non più della « Comunità ». In un ordinato del 5 agosto 1698 il Nicolis per la prima volta è detto « Nicolis Conte del luogo » e non più come prima « signor del luogo ».
Nel 1706, durante il famoso assedio di Torino, da Robilante sono mandati e spesati diversi uomini, quali soldati alla cittadella della capitale piemontese.
Nel 1708 vengono pagate L. 1800 per l'alloggio delle truppe dell'armata di Vittorio Amedeo II e per il fieno provvisto dai particolari.
Nel 1711, 7 giugno, la campana piccola « attesa sua rottura non puol più servire », e si ordina di rifonderla al sig. Fenoglio di Mondovì per L. 80 ducali.
Tre anni dopo, nel 1714, è rotta anche la campana grossa, e si « commette al sopradetto Fenoglio di rifonderla per L. 130 ducali ».
Tuttavia i tempi sono alquanto migliorati e si respira di più. Si fanno solenni le feste di San Donato e del Corpus Domini, nelle quali festività, come in quella di San Bernardo, il Comune spende sempre per lo sparo di mortaretti.
Ogni anno si fa il quaresimale a spese del Comune. Nei conti comunali, fin ai primi anni del 1800, sono sempre bilanciate lire cento per il predicatore della quaresima, che quasi sempre è un padre francescano, nominato dal Comune, che provvede pure al predicatore la camera riscaldata.
In quella prima parte del millesettecento predicava molto nei dintorni di Cuneo il Venerabile Padre Benigno, la cui salma è venerata nel Santuario degli Angeli. Non ho trovato il suo nome nei nostri libri, ma sono persuaso che la voce del santo e taumaturgo frate abbia più volte risuonato nella nostra chiesa. Fra i tanti miracoli del Venerabile Padre Benigno vi è quello successo a Vinadio nel 1710, occasionato da quel parroco Don Paolo Antonio Ramberto, e che dal 1688 al 1693 era stato parroco di Robilante.
Il Venerabile Padre Benigno era stato eletto in quell'anno 1710 a predicarvi la quaresima e venne a presentarsi al parroco Don Ramberto, che lo accolse un po' freddamente, dicendogli che avendolo il Comune di Vinadio nominato a sua insaputa e senza fargliene parola, lui non poteva riceverlo e permettergli di predicare. Il buon Padre Benigno si scusò dicendosi ignaro della cosa e si congedò, pronto a tornare a Cuneo. Però volle prima passare in chiesa per una visita al Santissimo. Ma la chiesa era chiusa ed il Don Ramberto, che teneva in tasca le chiavi, vide dalla finestra della canonica il frate che impossibilitato ad entrare nella chiesa si era inginocchiato sulla pietra davanti alla porta e pregava. Dopo pochi momenti d'orazione la porta prodigiosamente si spalancò ed il Ven. Padre Benigno potè così a suo agio entrare in chiesa per adorarvi Gesù Sacramentato. Il Don Ramberto, che dalla canonica era stato testimonio del prodigio, corse a risalutare il Padre Benigno ed a pregarlo che rimanesse presso di lui. La controversia col Comune fu appianata e Padre Benigno predicò la quaresima con grande successo e contento dell'arciprete D. Ramberto.
Bilanci comunali. - A titolo di curiosità riporto un bilancio passivo prendendolo a caso, quello del 1699. Gli altri in quel secolo su per giù si equivalgono.
Per il sussidio militare | L. | 1886 |
Per il tasso al Conte Nicolis | » | 1112 |
Stipendio al Secretaro | » | 165 |
Stipendio al Maestro di scuola | » | 280 |
Per celebrazione n. 60 Messe lette | » | 30 |
Per il sonadore dell'agonia e Messa dell'aurora | » | 20 |
Per il medico Consolino | » | 200 |
Per manutenzione delle fontane | » | 45 |
Per manutenzione dell'orologio | » | 27 |
Stipendio del messo | » | 28 |
Salario del seppellitore | » | 6 |
Per il sonatore delle campane nei cattivi tempi | » | 20 |
Per il cero pasquale et oglio della lampada maggiore | » | 30 |
Per la guardia del Sepolcro al Giovedì Santo | » | 3 |
Per elemosina al sig. Predicatore (della quaresima) | » | 100 |
Per la reedificazione della Cappella di San Rocho | » | 300 |
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1935, n. 6, pag. 3
Come già ho scritto, la nostra Confratria sorse verso il 1250 - 1300. Scopo delle Confratrie o Confratrerie era di rafforzare la solidarietà fra il popolo, unendo gli animi coi sacri vincoli di carità cristiana e nella mutua difesa dei diritti propri.
La nostra Confratria di Santo Spirito non va confusa colla Confraternita di Santa Croce, che nei documenti fin verso il 1800 è sempre chiamata Cruciata.
La Confratria locale era discretamente ricca. Possedeva edifizi, boschi, orti. Un orto confinava coll'antica canonica (l'attuale Municipio) fin dai tempi del parroco Don Comino (1591-612). Così da un ordinato Comunale del 1700, il Comune, quale amministratore della Confratria di Santo Spirito, « concede al Pievano Don Ramondetti l'usufrutto di trabucchi 25 di orto, attigui alla Canonica et orto suo » mediante prestazioni varie per parte del parroco.
Della Confratria di Santo Spirito erano i molini e le bealere. Da uno strumento del 1671 del conte Ludovico Nicolis, riguardo al martinetto ed esistente nell'Archivio parrocchiale, è detto « che la bealera era in antichissimo possesso della Confratria di Santo Spirito ».
I beni della Confratria sono amministrati dal Comune: i molini sono ordinariamente messi all'incanto e ceduti al miglior offerente ogni tre anni. Così da un ordinato Comunale del 3 maggio 1630, il Municipio lascia correre « parte dell'affitto del Molino Soprano, perché i Molinari per le rovine prodotte da Ropitone ebbero dei danni al molino ed agli edifici da essi riparati ». In un incanto del 30 settembre 1638 (Arch. Comunale) circa gli affittamenti dei molini, edifizi e boschi della Confratria di Santo Spirito, fra le altre condizioni v'è la seguente: « Li conduttori o affittavoli di detti molini saran tenuti di macinar il grano e segala di detta Confratria senza che da essa o suoi Priori possin pretendere alcun pagato di moltura od altra cosa » - « più saran tenuti li conduttori di essi molini misurar et spedir alli Priori della Confratria tante emine di segala bella e pura e netta senz'altra mistura, come avevano offerto al pubblico incanto, cioè la mettà alla festa di San Michele e l'altra mettà alla fine di marzo di cadun d'essi tre anni ».
L'opera delle Confratrie va decadendo dopo il 1600, riducendosi a distribuire ai poveri minestra di ceci ed a dar conviti per tre o quattro giorni nelle feste di Pentecoste. A queste feste dovevano pur banchettare allegramente i nostri Consiglieri Comunali, che si ritenevano un po' i padroni dei beni della Confratria. Così per es. il Vescovo di Mondovì, in uno scritto del 20 marzo 1710, concede che nel 2° giorno di Pentecoste, giorno in cui i Robilantesi si nominavano i Priori, si possa dar « da mangiare al Corpo della Comunità » ma « con la dovuta moderatione, a fine che si prejudichi ai poveri il meno che si puotrà, e ciò s'intende per solo detto giorno ».
Venendo le Confratrie sempre meno al fine che ebbero sul nascere e riusciti vani diversi progetti di riforma, furono soppresse nel 1717 da Vittorio Amedeo II, il quale assegnò alle Congregazioni di Carità, da lui create, il loro patrimonio.
Così scompare per volere sovrano, dopo cinque secoli, la nostra Confratria di Santo Spirito, ed i molini ed i suoi beni passano alla locale Congregazione di Carità, costituitasi allora.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1935, n. 7, pagg. 2 - 3
>Don Giuseppe Donato Berzesi di Peveragno prese possesso della Cura il 29 maggio 1731. Colla sua venuta si chiude un periodo infelice di storia robilantese, e se ne apre un altro di maggior corrispondenza della popolazione verso il proprio pastore. Don Berzesi governò la parrocchia per 39 anni, vivamente amato da tutti i parrocchiani, ed in pace e buon accordo colla autorità comunale.
Ultimata ed abbellita la Chiesa parrocchiale, curò sopratutto l'edificazione spirituale del suo popolo. Il 28 maggio 1734 ottenne da Roma un breve, con cui si concede Indulgenza plenaria a chi interviene alle Quarantore una volta all'anno nella Chiesa di Robilante (Archivio Vescovile di Mondovì).
Ho scritto altra volta che il Venerabile Padre Benigno doveva certo aver predicato a Robilante, benché la cosa non mi risultasse dai libri parrocchiali. Invero il Gastaldi, storico del Venerabile, a pagina 262 scrive che nel 1740 Egli venne a Robilante per erigervi la Via Crucis.
Nel 1743 il Vescovo di Mondovì, in visita pastorale, s'unisce al pievano Don Berzesi per sradicare ulteriori abusi: così, per es., proibisce ai Confratelli di Santa Croce di fare spese in vini ed acquavite in occasione della Processione del Giovedì Santo, sotto pena di scomunica.
In questi anni sorsero difficoltà coi Roccavionesi che pretendevano di farsi pagare pedaggio per robbe transitanti da Robilante a Cuneo e viceversa. Robilante si appellò alle franchigie e privilegi conferitigli dal Duca Emanuele Filiberto nel 10 febbraio 1504 e confermati poi dal Serenissimo Duca Carlo, ed ottenne ogni ragione (Ordinati Comunali 1736-1742).
Nel settembre-ottobre del 1744, in seguito all'assedio di Cuneo, Robilante con Vernante fu centro di attività militari contro il campo Gallo-Ispano di Borgo S. Dalmazzo e precisamente a Robilante fu fiaccata l'offensiva che tentava il marchese di Camposanto per prendere vendetta su Vernante.
Il 24 giugno 1764 il parroco Don Berzesi ed il sindaco Vallauri Filippo scrivono di comune accordo ai M. RR. Padri Missionari della Congregazione di Torino, perché vengano a tenere una missione essendosi al presente già molto rafredata e molto intiepidita la devozione e carità.
In una relazione del successore di Don Berzesi (1770) è detto : La Comunità fa celebrare annualmente dal Maestro di Scuola (era sempre un sacerdote) Messe cento lette, parte alla Cappella di San Sebastiano e parte alla Cappella di San Rocho, non si sa se sia per voto o consuetudine.
Il pievano Don Berzesi morì il 12 marzo 1770, in età di 80 anni, compianto da tutta la popolazione. Nel suo testamento legò al Comune una sua casetta che era vicina alla Canonica e lungo la strada pubblica, consistente in tre stanze e due crote, per cui il Comune si era obbligato a far celebrare in perpetuo in suo suffragio una Messa cantata il 6 agosto.
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1935, n. 8, pag. 3
Don Giovanni Maria Corderi successe al Reverendo Don Berzesi. Era nativo della vicina Roccavione e prese possesso della parrocchia il 22 luglio 1770, giorno di Santa Maria Maddalena penitente. Fu parroco pio e dotto e governò la sua chiesa in tempi difficilissimi, sopratutto dopo il 1794.
Nel 1790 benedisse il nuovo cimitero: prima i morti si seppellivano intorno e nel sacrato della Chiesa parrocchiale. Come risulta dal libro dei conti del Santissimo, nel 1791 costrusse l'abside o coro attuale, e voleva compiere altri lavori, ma non potè continuare per il sopragiungere della rivoluzione. Nel 1794 un presidio sardo si accampa nella chiesa parrocchiale, ed al suo partire si notano guasti e mancanza di suppelletili. In quell'anno anche l'unica campana è mandata a Torino per farne cannoni. Il mattino del 24 luglio, senza accorgersene, il paese si trova occupato dalla soldatesca francese, che, ritirandosi la sera del 9 agosto, dopo aver requisito fieno e derrate, incendia la villa e le borgate. Lo zelo coraggioso del vice-curato d'allora Don Giuseppe Maria Lovera ottenne che minori fossero i guai. Invero il Consiglio Comunale l'anno seguente, in data 8 ottobre 1795, elogia il Don Lovera e scrive: « Dopo che il paese venne invaso dal nemico, non temette, ma si presentò in varie occasioni dal generale francese e comandanti ed impetrò licenza di continuare la giurisdizione, come praticò, e se in tale circostanza la Chiesa parrocchiale e la Cappella di Sant'Anna non hanno inservito di ricovero ai francesi e ridotte non sonosi a scuderie, come è accaduto in altri luoghi, se ne deve l'obbligare al predetto sig. Vice-Curato. Fu poi di vantaggio ed ebbe mezzo di rendere meno gravoso il soggiorno del nemico ». Dopo il 1796 la nuova occupazione francese portò nuovi guai e nuovi dolori. Conculcata la libertà religiosa, furono proibite le adunanze di qualunque genere e perfino religiose, tanto che il Vescovo di Mondovi mandò ordine al cittadino Pievano di Robilante che non si facessero nella settimana santa e di poi le solite processioni in luoghi pubblici per evitare che i malintenzionati ne potessero abusare, al misero oggetto di promuovere nuovi sconcerti in tempi di sconsigliati rivolgimenti e torbidi. I parroci zelanti furono presi di mira dai giacobini o dai fautori della rivoluzione. Cosi il nostro Don Corderi fu più volte trascinato davanti ai giudici, accusato tra l'altro di aver sparlato in pubblico del nuovo governo. Nell'archivio comunale esiste una lista non breve di nomi di robilantesi che domandano l'allontanamento o rinuncia del Pievano Don Corderi. A questo punto credo meglio riportare quanto di lui scrisse il M. R. Don Viani suo successore : « Sul finire del secolo, al tempo dell'invasione dei francesi, il Pievano Don Corderi fu terribilmente perseguitato dal partito dei libertini, talmente che dovette abbandonare la casa parrocchiale, per non restarne vittima, e starsene per più mesi esule per i boschi, e prendere alloggio e vitto presso alcuni dei suoi parrocchiani, i quali tenevanlo nascosto nelle loro capanne e nutrivanlo dei loro semplici e rozzi cibi. Ma l'uomo di Dio, in mezzo alle ingiuste persecuzioni, consolatasi perchè nel numero dei suoi parrocchiani trovavasi ancora gente semplice e religiosa che andava a gara ed esponevasi a gravi pericoli per cercar la sicurezza della sacra sua persona. Finalmente dopo aver governato per lo spazio di trenta anni, e dopo d'essere passato per ignem et acquam, finì santamente i suoi giorni l'anno 1800 il 7 agosto, giorno di San Donato, titolare di questa chiesa parrocchiale, in età di 63 anni ». Nei prossimi numeri avrò occasione di completare la bella figura di questo santo e tribolato Pievano.
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1935, n. 9, pagg. 2 - 3
Legato Blangero - Con testamento, rogato Tosello, in data 2 febbraio 1782, certa Domenica Maria Blangero lasciava al Comune di Robilante un capitale di L. 2000, coll'obbligo di far dare una Missione ogni quattro anni.
Questo legato, in altri tempi, diede motivo di screzi tra Parroco e Comune, volendo più d'una volta i nostri padri coscritti "comandare" in Chiesa a modo loro e fare da sacrestani in occasione di Missioni. Altra volta, in tempo di acuto anticlericalismo, corse pericolo di... essere assorbito e destinato ad altri scopi.
Questi inconvenienti e pericoli sono da tempo scomparsi, e, speriamo, per sempre.
Vendita degl'immobili della Chiesa parrocchiale. - Nel 1798, in seguito a decreto del Vescovo di Mondovì, 13 marzo, si vendettero a pubblico incanto i beni delle Compagnie e degli altari, eretti nella Chiesa parrocchiale. Erano ventuno appezzamenti di campo e di bosco ed una piccola casa. L'estimo del perito era di L. 11.842,10 ed al pubblico incanto la cifra sali a L. 19.786,76. Il pagamento però non si fece subito in contanti, ma fu rateale; motivo per cui nacquero delle difficoltà per la tristezza dei tempi che seguirono, e non tutta la somma potè essere incassata dalla Chiesa parrocchiale.
Il Consiglio Comunale, in data 14 febbraio 1798, con voto unanime e concorde, aveva appoggiato il Pievano Don Corderi ed i Massari per tale vendita dei beni della Chiesa.
1796-1800: anni di miseria e di fame. - L'occupazione francese ed il continuo passaggio di truppe furono pure disastrosi per il nostro paese.
Il 7 aprile 1796 il Comune domanda alla R. Tesoreria che gli sia dato in conto lire ottomila per i danni subiti dalla occupazione francese del 1794 e per la requisizione continua di paglia, fieno e legna.
Il 14 maggio 1797 il Sindaco esibisce quietanza per il pagamento dovuto farsi al sig. Combiac, agente militare della Repubblica Francese in Cuneo, di L. 2300 in oro e argento e di L. 3291 in biglietti di credito, per contribuzione imposta al Comune e ne domanda il condono verso S. M.
La miseria aumenta nel 1800 per la ridiscesa delle truppe francesi. Si devono vendere i due molini di proprietà della Congregazione di Carità.
Il 30 marzo 1800 nell'aula comunale sono radunati i Consiglieri ed il Pievano Don Corderi, quale presidente della Congregazione di Carità. Unanimi il Parroco ed il Consiglio Comunale supplicano la Segreteria di Stato a voler concedere gratuitamente 100 sacchi di meliga per i miserabili e 150 sacchi al Comune da distribuirsi alle altre classi di persone, con un respiro di un anno per il versamento del prezzo. In tale supplica si dice testualmente: « Si muore di fame; quasi i nove decimi della popolazione è indigente; i francesi alla fin d'ottobre 1799 hanno saccheggiato molto, ed entrando a turbe nelle case hanno asportato lingerie, mobili, bestiame, e ritirandosi hanno atterrate le porte delle case dando fuoco a molte di esse ed a molti fienili ».
Il Parroco Don Corderi prega il Vescovo di Mondovì di venirgli in aiuto ed il Vescovo in data 21 maggio 1800 autorizza il Pievano, per sollevare le gravi miserie della popolazione, di vendere due magnifiche lampade d'argento della Chiesa parrocchiale. Si ricavò dalla vendita la somma di L. 750, che fu distribuita ai poveri.
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1935, n. 10, pag. 3
All'inizio dell'anno 1799 (7° della Repubblica francese e 1° della Libertà piemontese) sono nominati dal Governo provvisorio ufficiali per la Municipalità di Robilante i cittadini Eusebio Abellonio presidente, Antonio Ghiglione cerusico, Francesco Maccario negoziante di ferro, Lorenzo Consolino coltivatore, Domenico Barberis fabbro-ferraio, G. B. Girando notaio, Antonio Chesta giudice provvisorio.
Questi municipalisti nella sessione del 9 ventoso (26 febbraio) invitano la Direzione delle Finanze di Cuneo ad approvare le spese incontrate per la festa patriottica, e scrivono :
« La Municipalità attuale, dopo essere stata installata dal Governo provvisorio, ebbe null'altro più a cuore che presto uniformarsi al voto generale della nazione col fare la patriottica festa della rigenerazione; ma siccome in detto luogo il fanatismo religioso e l'aristocrazia aveva messe ferme le radici, il cittadino presidente si portò dal generale francese Casabianca per intender da lui come agir doveva. Gli fu dal predetto intimato di far detta festa con tutto il possibile decoro, adattato però alle circostanze del luogo, e dover nel tempo stesso dare un ballo pubblico, oggetto il più efficace per far intendere a tutti l'uguaglianza. La festa patriottica durò buona parte del giorno e tutta la notte successiva, e sonosi per tale oggetto fatte le seguenti spese:
1. Per 6 sciarpe tricolori per li officiali municipali | L. | 157,-- |
2. Per 4 bandiere tricolori, una al campanile, una alla sala comunale, due all'albero della libertà (tra stoffa e fattura) | » | 44,-- |
3. Per l'innalzamento dell'albero della libertà, con bonetto e punta di ferro | » | 36,-- |
4. Per 5 brente di vino somministrate al pubblico | » | 120,-- |
5. Per pane rubbi 8, formaggio rubbi 1 | » | 46,50 |
6. Ai suonatori sborsato L. 48 | » | 48,-- |
7. Finalmente candelle libre 2 | » | 2,50 |
Totale L. | 454,-- |
La deliberazione termina dicendo: « E con tutta buona armonia ed ordine repubblicano si è chiusa la sessione della municipalità ».
Un fatto tumultuoso. - Ma armonia ed ordine non regnavano troppo in paese, dove gli animi erano in fermento per il nuovo stato di cose e per la molta miseria. Difatti il 20 nevoso successe una specie di sommossa popolare. Il cittadino Francesco Maccario, municipalista presidente della sessione, fu arrestato da una folla tumultuante ed esasperata, e dapprima lo si voleva fucilare sulla piazza stessa. Fu condotto poi nella sala municipale, dove un colpo di sciabola menato da uno dei capi del tumulto G. B. Damilano era per portargli via netta la testa. Il colpo fu però parato in tempo da certi Gian Battista Giordanengo padre e figlio, due fosche figure che poco dopo si resero colpevoli di omicidio in quel di Boves. Tra i fautori della rivolta vi era anche l'inserviente comunale G. B. Maccario, che fu destituito e sostituito dal cittadino G. B. Giordano a L. 40 annue.
Sotto la dominazione francese. - L'armata repubblicana nel novembre di quell'anno 1799 è scacciata dalle truppe austro-russe. Partiti cosi i francesi, nella sala consigliare è ristabilito il corpo amministrativo con nuovi elementi, con a capo Lorenzo Tosello, sindaco. Ma pochi mesi dopo Napoleone piombò improvviso sul Piemonte riportando il 14 giugno 1800 la splendida vittoria di Marengo sugli austriaci.
Il Piemonte passò di nuovo in mano dei francesi e vi rimarrà fino al 1814 alla caduta di Napoleone. Perciò il 4° termidoro (23 luglio 1800) è installato il nuovo corpo municipale nelle persone dei cittadini Francesco Maccario, Benedetto Abello, Giorgio Giordanengo, Ludovico Giordano, Sordello Giacomo.
Poco dopo sono anche nominati i componenti la nuova guardia nazionale con a capitano il notaio Eusebio Abellonio e sottotenente il cittadino Bartolomeo Girando fu notaio Michele.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1935, n. 11, pagg. 2 - 3
In questo periodo il Piemonte corse totalmente la sorte della Francia. La nostra valle però fu libera da invasioni militari e potè poco per volta rimettersi e poi anche godere di una certa agiatezza. Ebbe scuole in cui si insegnava francese; in francese si redigevano i testamenti ed i contratti. Benché la chiesa fosse perseguitata, da noi però la vita religiosa potè svolgersi con relativa tranquillità.
Il 10 settembre 1801 è insallato (sic) il Maire nella persona del cittadino Antonio Ghiglione, il quale il 13 dicembre invita il cittadino sac. Botto Andrea di Roccaforte a far il quaresimale per il 1802.
In quegli anni 1801-1803, tre erano in Robilante gli osti, due i calzolai, quattro i fabbriferrai, due i mercanti, due i rivenditori. Numerosi per il paese gli esercenti le arti liberali; vi erano difatti tre notai: Abellonio Eusebio, Girando G. B. e Tosello Gioachino - due i cerusici : Consolino chirurgo Giuseppe e Audifreddi chirurgo G. B. - speziale: Tosello Sebastiano - agrimensore: Chirio Gio. Antonio.
Don Filiberto Fantini da Roccavione fu parroco di Robilante dalla fine del 1800 al 1814. Benché in tempi non facili lavorò con grande animo per la sua chiesa, che abbellì di molto. Per opera sua noi abbiamo i bellissimi altari marmorei del Santissimo, del Suffragio e del Rosario.
Poco dopo la sua presa di possesso, ordinò al marmista Fossati di Valdieri l'altar del Suffragio. Fu ca-pomastro della costruzione Pietro Boffa e lavorò di pittura con prospettive il Bongiovanni di Pianfei; vi fece lavori di stucco il Banchieri. In tutto si spese oltre quattromila lire.
Soppressi in Piemonte nel 1802 gli Ordini religiosi e vendute pubblicamente le loro sostanze, il Don Fantini ne approfittò. Comprò invero l'attuale altar maggiore, che proviene dalla Chiesa dei già Padri Conventuali di Mondovì Piazza.
Nel 1808 acquistò l'altare della Madonna del Rosario dal soppresso Eremo del Padri Agostiniani di Busca. Nell'archivio parrocchiale esiste il contratto di compera di tal altare, firmato a Cuneo il 26 aprile 1808 da una parte dal Conte Carlo Caisotti di Chiusano e dall'altra parte dai Robilantesi Giuseppe Consolino chirurgo e Gioachino Tosello notaio. La spesa fu d.(sic) L. 1500. Per il trasporto da Busca a Robilante e per cibaria ai boari si spesero L. 112,36. In quel torno di tempo il Pievano Don Corderi fece dipingere dal pittore Angelo Vacca, Torinese, il Capolino dello stesso altare del Rosario ed i quindici misteri (quittanza 6 sett. 1808).
Come fece quel degnissimo Pievano, in quegli anni di magra, a procurarsi oltre diecimila lire (attualmente sarebbero 50-60 mila) necessario per l'acquisto di tali altari e per i lavori d'abbellimento? Lo zelo per la gloria di Dio sa fare miracoli....
Il Don Fantini mori, dopo una vita attivissima, il 10 settembre 1814 nella florida età di appena quarant'anni, assai compianto dalla popolazione. Fu seppellito nella Chiesa parrocchiale, nella tomba dei sacerdoti.
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1935, n. 12, pagg. 2 - 3
Pio VII vittima di Napoleone, fu prigioniero a Fontainebleau in Francia. Nell'agosto del 1809 fu trasportato da quella città francese a Savona e per giungervi fu fatto transitare per il colle di Tenda e poi per Cuneo, Mondovì, Colle di Cadibona. Il mite e vecchio Pontefice giunse a Limone alle ore 11 del 12 agosto, dopo un viaggio disastroso per il valico di Tenda. Dopo breve refezione, il capitano aguzzino Boissard che lo accompagnava, d'ordine dell'imperatore, comandò di ripartire, onde giungere in serata a Cuneo. Pare che a Robilante non sia giunta la nuova del passaggio del vegliardo Pontefice, perché non consta che gli siano mossi incontro per onorarlo clero e popolo, come si fece in qualche paese tra Limone e Cuneo. Trascrivo la commovente descrizione che sul passaggio di Pio VII a Vernante e Robilante pubblicò il Rev.mo Monsignor Riberi sul "Dovere" di Cuneo nel numero 30 - IX - 1933.
« A Vernante. - Quel pomeriggio d'agosto s'era fatto caldissimo; il Papa stanco, sfinito dallo strapazzo del colle, nonché dal cibo indigesto e frettoloso preso a Limone, ebbe a soffrirne assai. Quando, verso le quattro pomeridiane, si entrava in Vernante, l'Augusto Vegliardo sembrava cadere in deliquio. Boissard lo vide rannicchiato in fondo alla pesante carrozza, pallido come un cencio, e temendo (come già i Giudei per la salita del Calvario) che il paziente morisse per via, grida alle buone donne che erano in piazza: « un verre d'eau! ». Mentre la carrozza si ferma e s'apre lo sportello, molte mani tendono il bicchiere d'acqua in alto, ciascuna vorrebbe che il Papa prendesse il suo, ed Egli, sorridendo mesto alla gentile contesa, per contentare quelle pie e lasciar loro il ricordo desiderato, tocca tutti i bicchieri con la mano, li benedice e prende quello sportogli da una povera madre che vanta la sua acqua sopra tutte le altre perché il figlio l'ha recata or ora dalla sorgente. Pio VII ne beve un sorso, poi volgendosi al suo cappellano Monsignor Doria Pamphili che si trova a fianco, gli dice: « Sembra l'acqua di Fontainebleau ». La voce corre in paese che il Papa ha cosi chiamata dell'acqua, ed anche ora - per ricordo - la buona sorgente, che ha rinfrancato per un istante Pio VII nei suoi dolori, è chiamata « Fontana bleu »…
« Per ordine di Boissard lo sportello della vettura si richiude e si riprende la corsa.
« A Robilante. - In fondo valle, col sollione d'agosto sul cielo della carrozza chiusa, la temperatura diventa asfissiante; il digiuno, lo strapazzo e il bicchier d'acqua preso a Vernante provocano nel Pontefice vecchio e malato una reazione, per cui, tutto madido di sudore copioso, sembra svenire. Boissard, inquieto, fa segno a Mons. Doria Pamphili di provvedere. La carrozza si ferma presso una casa campestre vicina a Robilante (finora non sono riuscito a identificarla) e Monsignor Cappellano discende per chiamare ai contadini la carità d'una camera e di una camicia asciutta. Nella casa i contadini sono assenti, perché attendono al lavoro nei campi lontani; c'è però una donna di Roaschia, che si trovava là o per servizio o in casa di parenti, e questa si ritiene autorizzata a fare quanto occorre. Perciò tira fuori dal vecchio cofano una camicia di ruvida e grossa tela casalinga, che offre con tutto il cuore al Pontefice. Questi, sfinito di forze ringrazia ed entra a cambiarsi nell'attigua stalla, unico posto disponibile. Ne esce dopo brevi minuti alquanto ristorato e pronto a riprendere il suo calvario.
« Nell'accomiatarlo la buona donna domanda umilmente la benedizione e il Papa, facendole il segno di croce, la ringrazia della carità fatta al Padre comune di tutti i fedeli, dicendole: " Onora il padre tuo ed avrai vita lunga su questa terra ».
« La benedizione fu profetica, perché la donna morì poi a Roaschia molto avanzata negli anni. Ho frugato negli archivi di Roaschia per saperne il nome. Probabilmente si tratta di una tale Ghibaudo Francesca vedova di Antonio Ghibaudo, che mori nel suo paese nativo in età di anni 90 il 6 dicembre 1871. »
Quale fu la fortunata casa di Robilante che albergò per pochi minuti un Papa, il santo e perseguitato Pio VII? Credo non possa essere che Tetto Piulote o la casa che v'era dove sorge ora la « Fabbrica », le uniche abitazioni vicine alla strada nazionale, non essendovi ancora a quel tempo il molino Barale.
Gesù, quando venne su questa terra, non trovò albergo che in una stalla... Un suo Vicario, Pio VII a Robilante fu accolto pure in una stalla e si ebbe in affettuosa elemosina, una ruvida camicia. C'è da meditarci su…
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1936, n. 1, pag. 3
Caduto Napoleone, dopo il Congresso di Vienna (1815) i Sovrani d'Europa tornarono alle loro sedi. Così dalla Sardegna rientrò in Piemonte la figura bonaria di Re Vittorio Emanuele I. Però il periodo che incomincia dal 1815 e va fino oltre al 1850 non fu uno dei più brillanti per Valle Vermenagna; fu piuttosto un periodo di decadenza. Annate magre e carestie desolarono il nostro paese. Il 25 agosto 1816 un'orribile tempesta, caduta dalle 2 alle 4 pomeridiane, devastò completamente ogni cosa. La stessa grandine devastatrice il 12 luglio 1818 rovinò tutto; e cosi successe quasi tutti gli anni fino al 1828. Le strade, trascurate alquanto, erano malsicure perché infestate da ladri e malviventi. L'analfabetismo e l'ignoranza fu forse più generale del secolo antecedente…
Non riesce facile avere l'unico maestro che fa scuola in paese, che, come nel secolo precedente, è sempre un sacerdote nominato dal Comune d'accordo col Vescovo. Perciò nel 1821 lo stipendio del maestro è aumentato e portato a L. 400 annue. Il maestro deve però celebrare la Messa nei dì feriali, prima dell'ora della scuola, onde gli scolari possano intervenire ed assistervi. Così nei di festivi dovrà celebrare nell'ora assegnata dal Comune, per maggior comodo della popolazione ed assistere alle funzioni parrocchiali in compagnia degli scolari.
Don Giov. Bernardino Piola. - Al R.mo Pievano Don Fantini, deceduto il 10 settembre 1814 nella giovane età di 40 anni, in seguito a regolare concorso per esame, successe nella Cura di Robilante il R.mo Don G. Bernardino Piola, nella non più fresca età di 65 anni. Nativo della città di Cuneo, fu fin dal 1787 parroco di Cantoira nella valle di Lanzo e diocesi di Torino; poi venne parroco a Valloriate il 7 ottobre 1798, dove rimase fin alla fine del 1814, quando guadagnò la parrocchia di Robilante. - A Valloriate, nel 1799, dovette passare dei giorni tragici. Invero i Giacobini francesi, dopo aver devastato il Cuneese e distrutto il Santuario della Madonna della Riva, si erano ritirati, accampandosi vicino a Valloriate. Il 9 novembre saccheggiano il paese, ed al povero parroco Don Piola rubarono tutto, restandogli appena quanto aveva indosso... Il giorno seguente, 10 novembre, il poveretto ebbe in imprestito una camicia e qualche lenzuola..... Finalmente comparvero sulle cime del Sapè e del Gorrè gli Austriaci liberatori, mentre in furia i Francesi si ritiravano verso il Colle di Tenda…
Il Don Piola restò pievano di Robilante per dieci anni, conciliandosi l'amore e la stima di tutti i parrocchiani. Vide il trapasso del paese dalla diocesi di Mondovì alla nuova desideratissima diocesi di Cuneo, creata nel 1817 da Sua Santità Pio VII, dopo il suo ritorno a Roma dalla prigionia di Napoleone.
Il Don Piola morì il 26 ottobre 1825 e fu l'ultimo parroco seppellito nella Chiesa parrocchiale.
Il suo successore Don Giacinto Viani lasciò scritto di lui questo breve profilo :« Era uomo d'un fisico meschinissimo, ma di talento molto; versato assai nella scienza teologica, godeva presso i suoi colleghi ed anche presso i suoi superiori una vantaggiosa riputazione di uomo dotto ed irreprensibile nella sua moral condotta. Al mio arrivo in questa parrocchia trovai la sua memoria in venerazione presso i suoi parrocchiani che ancora ne lamentano la perdita ».
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1936, n. 2, pag. 2
Don Giuseppe Giacinto Viani « il Pievan Vei » è tuttora ricordato con venerazione dai più anziani del paese. Fu parroco per ben 44 anni, dal 1826 al 1870. Nativo dei Bagni di Vinadio, era vicecurato a Castelletto Stura, quando il 28 dicembre 1825 si presentò al concorso della vacante parrocchia di Robilante, che vinse brillantemente. Per secondare il desiderio del Vescovo Mons. Samone, senza attendere le bolle da Roma, venne subito a Robilante il 19 gennaio 1826 in qualità di semplice amministratore. Prese poi solenne possesso della Parrocchia, quale Pievano, il 24 settembre successivo, presente il Vicario Generale della Diocesi, Mons. Saccheri, dottore in Ambe Leggi.
Il Don Viani, oltrechè Parroco zelantissimo e santo, fu, a mio giudizio, il più benemerito finora dell'edilizia e dell'abbellimento di Robilante.
Opera sua sono le due case più ampie e migliori del concentrico: l'attuale palazzo comunale (l'antica canonica) e la casa che fu fin a quattro anni fa la seconda abitazione dei parroci, cioè l'antico Municipio che permutò col Comune e che ampliò abbattendovi il rustico porticato e costruendovi al posto gli attuali bei portici collegantisi con quelli della Chiesa e sopraelevati di due piani. Nell'occasione della permuta (1854) s'obbligò di costruire, come fece, il Corpo di guardia col porticato antistante (ora sede del Consultorio ostetrico), e rase al suolo una casa rustica di sua proprietà, che era sita nel centro dell'attuale piazza principale al disotto della fontana pubblica, la cui ubiquità deturpava la piazza e toglieva la visuale della bella Chiesa parrocchiale. Opera sua sono ancora: la casa del Cappellano della Confraternita, dove ora v' è l'ufficio telefonico; il fabbricato presso la Cappella degli Agnelli, che attualmente serve per la scuola e perla maestra; il rifacimento dell'alloggio del Cappellano del Malandrè. Ingrandì poi le Cappelle di San Sebastiano e di Sant'Anna, e ricostruì dalle fondamenta la Cappella di San Rocco, innalzandovi anche l'elegante campanile.
Ma il Don Viani non s'accontentò dei lavori sopra accennati d'interesse pubblico. Non per scopo di lucro, ma per dar lavoro ed abbellire il paese, in tempi diversi comperò alcune casupole del concentrico, che faceva abbattere e ricostruire più sane e più belle e che poi rivendeva. Fu questo uno dei motivi per cui il magnanimo Don Viani mori nel 1870 carico di debiti, donde l'anno dopo, nel 1871, furono messi in vendita all'asta pubblica tutti i beni a lui appartenuti, fra cui una casetta nel Rossetto ed un'altra in piazza Revellino ed una vigna in regione Pasturun, in quel di Boves.
Ritornerò in altri numeri del Bollettino su particolari di queste opere compiute dal Don Viani. Egli, il buon Pievano, nel lungo tempo della sua cura, fece al paese del gran bene, curando molto la pietà e l'istruzione religiosa del popolo. Nell'ottobre 1835 condusse alla Madonna della Riva in numeroso pellegrinaggio i Parrocchiani per ringraziar la Vergine del colera cessato.
Per aumentare la devozione a San Donato, patrono del paese, lo fece litografare con l'Angelo Custode ed ai piedi una bella veduta di Robilante, cui appose questa significativa iscrizione, come si vede tuttora e si legge in tante case: Episcopo et Martiri Divo Donato, ecclesiæ parochialis loci Robilantis Patrono, in suum suarunque ovium devotionis obsequium, plebanus Ioseph Hiacintus Vianus effigiem hanc dicabat anno 1856.
Morì in Robilante il 27 marzo 1870 e fu il primo parroco sepolto nel Cimitero comune.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1936, n. 3, pag. 3
Nel numero dello scorso mese ho accennato di sfuggita alle opere principali edilizie compiute dal Pievano Don Viani. In questo numero, dò alcuni brevi particolari su alcune di esse.
- Prima in ordine di tempo fu la costruzione del fabbricato per il Cappellano alla frazione Agnelli.
In questa Cappella, dedicata a San Giacomo, celebrava saltuariamente la Messa il Cappellano della vicina Castellar, frazione di Vernante. Nel 1840, agli Agnelli si potè avere un Cappellano proprio, collo stipendio annuo di L. 420. Quale maestro elementare doveva ancora ricevere uno stipendio di L. 100 annue dal Comune. Nei primi tempi il Cappellano maestro aveva in affitto un piccolo ed indecoroso alloggio presso certo Giordano Giacomo. Il Pievano Viani allora, col contributo dei frazionisti, preparò per il Cappellano una casetta decorosa, costruendo il fabbricato che tuttora serve per la scuola, che comprende due stanze al pianterreno e due al primo primo (sic). Vi spese L. 1330.
Dal 1840 al 1846 fu Cappellano maestro agli Agnelli il Rev. Don Monaco, nel 1847-48 il Rev. Don Giordano Nicolao e poi per oltre dieci anni il Rev. Don Gonella. Dopo il 1860, sia per mancanza di Clero, sia per insufficienza di mezzi, venne a mancare il Cappellano fisso alla frazione Agnelli, che ora conta appena centocinquanta abitanti.
- Per circa tre secoli, fino al 1860, si ebbe in paese un maestro prete, nominato dal Comune d'accordo col Vescovo. Tale sacerdote, normalmente era Cappellano alla Confraternita di Santa Croce e coadiuvava il parroco, che non poteva avere un vicecurato fisso. Fu nel 1842-43 che il Pievano Don Viani, dopo avere costruito l'alloggio per il Cappellano degli Agnelli, volle anche prepararne uno più degno nel concentrico per il Cappellano della Confraternita; abbattè quindi la casupola di proprietà della Confraternita sita davanti alla Chiesa e la costrusse ex novo.
L'impresa fu assunta dai muratori robilantesi Battista ed Antonio Giordanengo, per la somma complessiva di lire tremilasettantadue. Condonate a titolo di elemosina lire settantadue.
- Negli anni 1844-46, il Pievano Don Viani fece abbattere la Chiesa di San Rocco, che il Vescovo di Cuneo l'aveva interdetta nel 1839, perché pericolante, e col concorso del Comune e della popolazione la ricostruì più ampia e più bella, e con -artistico campanile. La spesa per tale opera fu non lieve per quei tempi. Secondo la capitolazione, che trovasi nell'archivio parrocchiale, la spesa totale s'avvicinò alle novemila lire, cioè L. 3272,37 per mano d'opera, e L. 5478,40 per l'ammontare dei materiali e provviste varie. Il Comune contribuì con L. 800 e con altre prestazioni.
Più tardi il Pievano Don Viani vi fece decorare la facciata con un bel dipinto che rappresenta San Rocco e San Gregorio Magno. Tra le figure dei due Santi appare in lontananza un prete vecchio, poggiato su d'un bastone : è lo stesso Pievano Don Viani, che sostava sovente ad ammirarvi i lavori e che il pittore volle fermare col suo pennello sul dipinto.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1936, n. 4, pagg. 2 - 3
Permuta della Casa Parrocchiale colla Casa Comunale. - Nella seduta del 28 novembre 1851 i consiglieri comunali, con a capo il sindaco Abellonio Giacomo, a voto unanime deliberarono la permuta della Casa del Comune colla Canonica.
Premesso " che il M. R. signor Don Giacinto Viani,
« pievano benemerito di questa Parrocchia, il quale in
« ogni tempo sempre curossi dell'istruzione elementare
« delle fanciulle con soddisfazione del pubblico, senza
« verun obbligo e stipendio, all'effetto di procurare al
« pubblico i necessari locali per le scuole, non dissente
« che la Comunità gli assegni per casa canonica la
« casa Comunale invece dell'attuale casa Parrocchiale,
« di spettanza di questo pubblico, avente adatti locali tanto
« ad uso di segreteria della Consulare ed archivi, che
« pella scuola ed alloggio del Maestro e della Maestra,
« e ciò mediante l'osservanza del progetto da esso
« sig. Pievano presentato, consistente in massima nel-
« l'obbligo che si assumerebbe la Comunità di gratifi-
« care il sig. Pievano tanto delle opere di miglioramento
« da lui fatte alla casa canonica di suo denaro per ben
« ottomila lire, che per le opere di rilievo e migliora-
« mento da eseguirsi intorno alla casa Comunale per
« ridarla meglio adatta ad uso di Canonica...; il Con-
« siglio, ritenuta l'assoluta indispensabilità in questo
« Comune di aver adatti locali pelle scuole pubbliche,
« maschili e femminili, al che per nulla serve l'attuale
« casa Comunale difettosa puranco di conveniente sala
« Consulare ed archivi ; ritenuto inoltre che è a carico
« comunale la manutenzione della casa Parrocchiale...,
« tutt'unanime e concorde delibera di accondiscen
« dere di buon grado all'accettazione del presentato
« progetto sotto le seguenti condizioni… ».
Le condizioni principali per il Pievano furono :
1° abbattere a sue spese una sua casa situata nel mezzo della piazza pubblica ;
2° costruire a sue spese quello che fu fin a poco tempo fa il corpo di guardia ;
3° eseguire a sue spese il riordinamento della Casa Comunale da servire da canonica, cioè : fare i portici e fabbricarvi su due piani ; i portici non potranno annullarsi od otturarsi anche in minima parte, dovendo continuare ad uso di Albo pretorio ;
4° eseguire tali opere secondo le migliori regole d'arte, impiegandovi ottimi materiali, nel termine perentorio di anni tre.
In compenso di tali opere il Comune s'obbligò di corrispondere al sig. Pievano Don Viani lire novemila: duemila in contanti alla stipulazione del contratto, e lire settemila pagabili colla cessione di stabili di proprietà comunale siti in territorio di Borgo S. Dalmazzo. Tali stabili erano un castagneto di are 134, una vigna di are 31 ed una casa nel concentrico di Borgo di membri ventiquattro.
L'atto di permuta, ottenute le debite autorizzazioni ecclesiastiche e civili, venne stipulato il 15 febbraio 1854 per mano del notaio Ghiglione, alla presenza del :Rev.mo Don Biancotto, pievano di Vernante e delegato della Curia Vescovile di Cuneo.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1936, n. 5, pagg. 2 - 3
Sui due ultimi parroci defunti pochi accenni soltanto. I miei due ultimi antecessori Don Caviglia e Don Cismondi meriterebbero un'ampia trattazione, ma la loro opera è tuttora nota alla maggioranza dei robilantesi, e non poche notizie, che non tornerebbero di lode per certi parrocchiani, è meglio che restino per ora in archivio ed attendano... qualche decennio prima di essere pubblicate.
Don Marco Rossi, da Limone Piemonte, ottenne la parrocchia per concorso e ne prese solenne possesso il 7 agosto 1870. Era un giovane sacerdote di bellissime doti, che prometteva tanto a favore della popolazione robilantese. Ma piacque al Signore rapirlo ben presto a sé. Dopo soli 72 giorni di ministero parrocchiale, il 18 ottobre di quell'anno stesso piamente si addormentava in seno a Dio in età di soli 29 anni.
Don Amedeo Caviglia, da Boves, eletto parroco dietro concorso, fece il suo ingresso il 21 maggio 1871. Curò molto il decoro della chiesa parrocchiale, che fece ristorare e dipingere dai tre pittori Agnese, Gauthier ed Arnaud nel 1873. Rifece quasi totalmente nel 1876 la cappella di Santa Margherita, che era rimasta interdetta dal 1840 al 1875. La caduta del pesantissimo baldacchino ridusse a frammenti il magnifico giardinetto in marmo sovrastante il tabernacolo, facendo pure a pezzi il crocifisso di Trapani regalato nel 1712 dal Conte di Robilante e verso cui i robilantesi avevano una particolare devozione.
Essendo diminuiti i redditi della Cura per inadempienza di molta parte dei parrocchiani nel pagare le decime, ottenne dalla Santa Sede di poter vendere tutti i beni beneficiari. Ma il decreto del Cardinale Quaglia non potè avere esecuzione per la mancata autorizzazione civile, in seguito all'opposizione di non pochi... capoccia. Più volte aveva pregato S. E. Mons. Formica di accettare la sua rinunzia alla parrocchia, ma in seguito alle insistenze di quel santo Vescovo aveva desistito dal suo proposito. Mori quasi improvvisamente il 12 febbraio 1885 in età di soli 45 anni.
Don Giorgio Cismondi, da Caraglio, prima parroco di Bersezio, venne a Robilante in seguito a regolare concorso, facendovi il suo solenne ingresso il 4 ottobre 1885. Curò la costruzione della cappella delle Figlie di Maria col suo altare e balaustrina in ricco marmo e quella della Grotta di Lourdes; rimise in bel marmo gli altari del Cristo, di Sant'Eligio e di San Magno; rinnovò completamente l'organo. Sul finire del secolo permise agli abitanti della frazione Snive di costruire la cappella delle Piaggie, prestando pure all'uopo volonteroso l'opera sua. Fondò e diresse la Società mutua robilantese contro gli incendi. Sorto per beneficenza del sig. Luigi Emina l'Asilo Infantile, ne curò e promosse l'inizio e lo sviluppo. Tra i primi parroci della diocesi fondò il bollettino parrocchiale. Morì il 6 dicembre 1920 ricco di opere e di meriti, dopo trentacinque anni di ministero parrocchiale laboriosissimo e fecondo.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1936, n. 6, pag. 2
Il Cimitero. - Il primo cimitero era intorno alla Chiesa parrocchiale. Nell'interno, sotto il presbitero, si seppellivano i parroci ed i sacerdoti; i fedeli invece nei pressi immediati della Chiesa. Continuava così anche fisicamente, la comunione dei vivi e dei morti. Il cimitero aveva un muro di cinta, che rovinò nel 1787: onde il Comune, nella seduta 15 marzo 1788, dopo aver constatato che « per essere rovinato il muro cingente il cimitero, le bestie calpestano le sacre ceneri dei trapassati e ne esce fetore d'estate » delibera « che si formi un nuovo cimitero, in attinenza alla Cappella di S. Rocco, propria di questa Comunità nella pezza canapale di trabucchi 300 circa, posseduti da Giacomo Martinengo ».
Sorte delle difficoltà, per atto consigliare dell'anno successivo 1789, si decise un'altra ubicazione per i nuovo cimitero nei pressi del bedale « nel luogo spettante per una parte alla Compagnia eretta nella Chiesa parrocchiale e per altra parte alli eredi di fu Pellegrino Giuseppe Donato ».
Benedisse il nuovo cimitero nel 1790 il pievano Don Giovanni Cordero. Essendo tuttavia troppo angusto fu ampliato poi nel 1841, a spese della Comunità.
In tale camposanto furono seppelliti i defunti dal 1790 fino a cinque anni fa, da quando cioè sorse per iniziativa del primo podestà Dott. Fulcheri il nuovissimo ed ampio cimitero, costruito su disegno dell'ing. Pirinoli e benedetto dal Vescovo Diocesano Monsignor Travaini.
La cappella di Santa Croce. - Questa Cappella ora scomparsa, era antichissima. Situata sulla regia strada del Varo (via Nazionale) era posta in testa d'una pezza di campo già del beneficio parrocchiale, presso l'attuale via Tetto Gerbino. Questa Cappella, malandata e quasi in rovina, fu distrutta dalle fondamenta al tempo dell'invasione francese alla fine del 18° secolo. Nella cappella di S. Rocco, appeso ad un muro laterale, si vede un quadro che rappresenta l'immagine di Santa Croce e quella di S. Matteo e di S. Giacomo evangelisti. Questo quadro proviene dalla antica cappella di Santa Croce, dove serviva da ancona sopra l'altare.
(Continua)
Bollettino Parrocchiale di Robilante, anno 1936, n. 7, pag. 2
Istruzione elementare. - Fin verso il 1849 eravi in paese una sola scuola elementare, frequentata da ragazzi e tenuta da un sacerdote, nominato di comune accordo dal Vescovo e dal Comune. Il maestro prete era d'ordinario anche cappellano della Confraternita, Nel 1861 per la prima volta non è più nominato un maestro, prete, ma un laico, certo Tamagni Giuseppe.
All'inizio del secolo scorso cominciarono ad esservi dei cappellani nelle frazioni Malandrè ed Agnelli, che naturalmente facevano anche la scuola. Il Comune dava un sussidio di lire 50 annue, sussidio che fu poi portato nel 1869 a lire 100.
Fino al 1849 non vi fu una scuola femminile. Vi fu in certe epoche una scuola femminile privata tenuta dal parroco o da chi per lui. La scuola femminile regolare comincia a funzionare solo nel 1850.
Il 5 gennaio 1849, dietro suggerimento dell'Ispettore scolastico, si riunirono Consiglio Comunale ed Amministratori della Congregazione di Carità, col Parroco Don Viani, presidente. La Congregazione di Carità delibera concorrere a tale scuola femminile mancante con lire 100 annue. Il notaio Ghiglione G. Antonio si quota per lire 100 annue sulle 200 che egli pagava per la scuola femminile di Roaschia sul mandato orale che egli teneva del suo fratello Don Pietro Ghiglione, Priore di detto Comune. Il Pievano Don Viani darà l'aula per la scuola e la camera per la maestra. Il Comune riconoscente sottopone al patronato del suddetto Don Viani o del Parroco pro tempore le scuole elementari. Lo stipendio per la maestra è fissato in lire 300 annue.
Nel 1866, 24 novembre, il Comune aumenta lo stipendio dell'unico maestro Consolino Giuseppe elevandolo a lire 520, più alloggio e piccolo orto gratis.
Nel 1880 si costruisce il fabbricato della nuova scuola di Vermenera. La spesa fu di lire 1234.
Il 28 ottobre 1885 è pronto il progetto al Ministero per l'erezione del fabbricato scolastico. Ma tuttora, dopo cinquantanni, manca alle sette scuole del concentrico un edificio proprio e decoroso.
Beneficenza. - L'11 novembre 1883 il Comune accetta l'eredità del notaio Olivero Michele, già alla residenza di Acceglio e segretario, consistente in un chiabotto a Cervasca ed una vigna a Vignolo peritate lire 8300. Il reddito della somma ricavata si devolve ogni anno in premi scolastici, secondo l'intenzione del defunto benefattore.
Il 1° giugno 1886 decederà in Robilante il farmacista Luigi Emina che lasciava lire 20.000 per l'impianto dell'Asilo Infantile e lire 10.000 per l'istituzione d'un posto gratuito agli studi d'un giovane o d'una giovane.
All'Emina, in riconoscenza, s'intitolò la via dell'Asilo, ed all'Olivero la piazza già Revellino.
Al notaio segretario comunale Ghiglione Bartolomeo, per le sue particolari benemerenze in pro del paese e della pubblica istruzione, il Consiglio in seduta 4 giugno 1885 deliberò di collocare nel comune una lapide commemorativa.