Passaggio di Pio VII in valle Vermenagna, agosto 1809

In occasione dei 200 anni dal passaggio di Pio VII, prigioniero di Napoleone, nelle valli Roia e Vermenagna pubblichiamo quanto scrisse nel 1933 Alfonso Maria Riberi.

Pio VII fra i nostri monti (11 - 13 agosto 1809) su Il Dovere, 16 settembre 1933;

Pio VII a Limone (12 agosto 1809) su Il Dovere, 30 settembre 1933;

Pio VII da Roccavione a Cuneo (12 agosto 1809) su Il Dovere, 7 ottobre 1933;

Pio VII a Cuneo L'alba del 13 agosto 1809 su Il Dovere, 14 ottobre 1933;

Per un confronto, ecco quanto scrisse sul bollettino parrocchiale di Robilante, nel dicembre 1935, il parroco don Lorenzo Peirone.

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Pio VII fra i nostri monti (11 - 13 agosto 1809)

"Che pensa di fare Pio VII? Scomunicarmi? e crede che allora cadrebbero l'armi di mano ai miei soldati? Se il Papa discende a tal passo, io non lo considero che come l'anticristo ... la tiara non ha altri diritti che umiliarsi e pregare!".

Così scriveva da Dresda il 22 luglio 1807 Napoleone Imperatore all'Incaricato d'Italia. Da quel giorno il lupo di Francia non cessa di tendere insidie al mite agnello di Roma; la persecuzione ha il suo colmo col sacrilego scarceramento del Papa a Roma la notte 6 luglio 1809.

Chiuso in carrozza, il vecchio Pio VII fu trascinato attraverso la Toscana e la Liguria fino a San Pier d'Arena, poi, per Alessandria e Rivoli, fino al Moncenisio, a Grenoble, a Valenza. Ma, poiché in quest'ultima città era morto poco prima prigioniero Pio VI, l'Europa si mostrava agitata e Napoleone, scegliendo un nuovo carcere alla sua Vittima Augusta, la spedisce, per Avignone e Nizza, a Savona.

Era naturale che da Nizza a Savona si tenesse la via lungo il mare; così anche ritennero molti storici, che sono confusi e pieni d'errori nei particolari di questo viaggio, come fra gli altri l'illustre Rohrbacher. Perfino l'iscrizione commemorativa posta nella chiesa di Limone era sbagliata, e fu corretta soltanto l'anno scorso. Invece, siccome il viaggio del Papa diventava ogni giorno più un trionfo e l'indignazione contro la violenza napoleonica divampava nel popolo, il gendarme Boissard pensò dì scemare questi effetti col dirigere precipitosamente il Papa nelle valli sperdute dei monti. L'atto inumano di Boissard, se fu un raffinamento di barbarie a danno del Pontefice vecchio e malato, fu certo un'amorosa disposizione della Provvidenza per noi Cuneesi, ai quali non restarono senza frutto spirituale i dolori sofferti da una vittima così santa; restò anzi un frutto prezioso e tangibile la costituzione della nuova diocesi di Cuneo nel 1817.

A Tenda (11-12 agosto).

Tralascio la altre parti del viaggio, per limitarmi al diario minuto di quanto accadde nei nostri monti.

Venendo da Nizza l'11 agosto, il Papa scendeva un istante dalla carrozza, chiusa e vigilata, a Sospello, ospitato e ristorato dai primi Cuneesi, dalla famiglia dei baroni Ricci des Ferres, presso la quale pranzava. Nel pomeriggio proseguiva per Tenda; tutto il Clero del paese gli andò incontro processionalmente fino sul ponte attiguo al prato detto di San Lazzaro e lo accompagnò devotamente con le torcie fino alla casa del Maire, notaio Francesco Antonio Chianea, che fu ben onorato di ospitarlo quella notte. Anzi gli fu preparato in una sala un piccolo trono, e il Papa ricevette e ammise al bacio del piede e della mano il Parroco, il Capitolo (Tenda aveva allora nella chiesa parrocchiale una collegiata di canonici), tutto il Clero, il giudice di pace, il maire, tutto il Consiglio Comunale e gran folla di popolo. Quella sera il capitano dei gendarmi Boissard fece una corsa a cavallo per disporre a Vievola l'occorrente alla salita del colle chiamandovi, per la mattina seguente, portantina, muli e mulattieri da Limone.

Nella sala della casa Chianea, sita al Piano, si costruì in fretta un altare perché il Papa potesse dirvi Messa la mattina; Boissard infatti non permetteva che il Papa uscisse di casa per nessun motivo, neppure per visitare una chiesa o celebrare. E il mitissimo Pio VII la mattina 12 agosto assai per tempo celebrava la S. Messa nella camera preparatagli, assiepato da una gran folla di devoti, fra il dispetto malcelato di Boissard, che sollecitava rabbiosamente la partenza per Vievola.

A Vievola (12 agosto).

Appena il Papa ebbe terminata la S. Messa in casa del sindaco Chianea del Piano di Tenda, Boissard insisteva frenetico che si partisse tosto, per non aver a soffrire il solleone d'agosto sull'erta del colle. E la carrozza, che conduceva il Papa prigione, pesante, massiccia, coi vetri fissi e gli sportelli muniti di forti serrature, si mosse lenta per la via tortuosa, preceduta e seguita da gendarmi a cavallo, comandati dal capitano Boissard. Pio VII, che, strappato violentemente dalla Sede, aveva indosso soltanto gli abiti leggerissimi portati da Roma, soffriva terribilmente il freddo mattutino fra quelle gole battute dai venti, e stava penosamente rannicchiato in fondo alla carrozza col segretario a fianco. Si giunse abbastanza presto a Vievola, dove nella notte erano venuti i Limonesi con portantine e muli per trasportare il bagaglio; essi attendevano in una povera cantina tenuta da una buona donna del luogo. Sentendo il rumore della carrozza, i Limonesi escono e fanno rispettosamente ala al Pontefice che, pallido e tremante dal freddo, scende ed è fatto entrare nella cameraccia affumicata, dove i famigli siedono su una panca di legno e il Papa su d'una sedia impagliata presso il fuoco, La vecchia donna, padrona della cantina, s'inginocchia ai piedi del Papa e tutta commossa ora guarda con occhi pietosi,ora ravviva il fuoco soffiando colla bocca in mancanza di altro, ora bacia teneramente il lembo della bianca veste del Santo prigioniero. La prima Autorità della terra e la vecchia povera ignorante cantiniera si trovano vicini, grandi entrambi dinnanzi a Dio nell'intenso spirito di pietà e di fede che li muove. Si vorrebbe offrire al Papa una tazza di caffè caldo; ma il blocco continentale contro l'Inghilterra ha reso il caffè un oggetto di lusso, che non si trova a Vievola. Il Papa digiuna, mentre il suo seguito prova a trangugiare pane e formaggio, condito d'angoscia e d'amarezza. Boissard, tutto eccitato e nervoso, fa smontare la carrozza e caricare i pezzi sui muli; ora esce a sorvegliare il carico, ora entra a spiare il Papa e i famigliari; e, appena la spedizione può dirsi pronta, dà l'ordine di partire.

Sul Colle di Tenda (12 agosto)

II colle aveva allora una via mulattiera abbastanza difficile, perché la via grande, iniziata sopra la Panice con un bel tunnel dai Sovrani Piemontesi, era stata interrotta dalla rivoluzione francese. La carrozza papale, scomposta nelle varie parti, fu caricata sul dorso dei muli; il Papa doveva andar su o a cavallo o, alla peggio, in portantina.

Da Limone erano giunti dodici portatori di cui, per l'esattezza della cronaca, registro i nomi:
BLANGERO Giacomo e Gio. Maria fratelli fu Gio. Maria, il primo soprannominato "Perdaiant"; BOTTERO Giovanni fu Battista "Fan" o "Furnetà"; DALMASSO Sebastiano fu Giovanni "Gherra"; DALMASSO Giuseppe fu Luigi "Fustin", nato a Vernante, ma residente da lungo tempo a Limone; FIANDINO Giovanni ed Agostino fratelli fu Stefano "Bernardon"; TOSELLO Giorgio fu Giacomo "Ciorro"; TOSELLO Giorgio fu Stefano "Bastianet" o "Tabacon"; TOSELLO Spirito fu Stefano "Porrin" o "Tubia"; VIALE Spirito fu Pietro e VIALE Giovanni Battista fu Gio Maria "Bogia".

Benché i portatori fossero pronti, Boissard volle provare a far salire il Papa a cavallo, riservando la portantina per collocare un po' di bagaglio; il Papa è posto a cavallo sopra una bestia assai pacifica, e forse scortato dai bravi Limonesi, farebbe una buona salita se Boissard, impaziente, non inquietasse la cavalcatura collo stimolarla continuamente. Il Papa vacilla sulla sella e Boissard rabbioso borbotta fra i denti: "Vecchio imbecille, sembra ubbriaco!".

L'ingiuria villana cade con eco straziante nel cuore dei bravi montanari e, mentre il Papa, tolto da cavallo, è posto in portantina, essi si ammiccano, si accostano e fanno il progetto di precipitare Boissard coi suoi manigoldi dalle roccie, e liberare il prigioniero. Ma per eseguire il progetto audace ci vuole il consenso del Papa ed uno dei portatori, di nome Tosello, s'accosta appunto alla portantina per fargliene cenno. Tosello era un uomo energico e rude, che maneggiava egregiamente il fucile e forse alcuno dei generali e ufficiali francesi, che in quegli anni lasciarono la vita nei monti di Limone, avevano assaggiata la palla del suo moschetto. Tosello parla più coi gesti che colla voce, ma è subito inteso dal Papa che, scotendosi come da una meditazione profonda, guarda il generoso alpigiano e levando gli occhi al Cielo, mormora sottovoce: "Lasciate, o figliolo, ch'io salga il mio Calvario dietro a Gesù!... Egli non vi saliva in portantina!..."

Tosello, che non è facile al pianto, resta commosso, un nodo gli sale alla gola, preme fuori le labbra convulse, mentre due lacrimoni gli solcano le gote abbronzate e la destra tremante va ad asciugarle. I compagni con un fare sbadato, gli si accostano per intendere la risposta, e Tosello dice tutto con un'esclamazione: "Egli è un Santo!".

Intanto Boissard, coi suoi occhi indagatori di sbirro, s'è accorto di qualche cosa, ha fiutato un pericolo, e diventando a intervalli bianco di paura e verde di bile, si mostra sempre più inquieto e rabbioso. Ora precede di due passi la comitiva, ora le sta a fianco, ora la segue precisamente come farebbe un cane nello spingere una mandria di pecore; soltanto (se mi si permette la frase) un cane in quella funzione avrebbe sentimenti più umani! Così verso le nove e mezzo la comitiva che scorta il Papa raggiunge la vetta del colle e comincia la discesa verso Limone.

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Pio VII a Limone (12 agosto 1809)

Superata la vetta del colle di Tenda, comincia a precipizio la discesa verso Limone. La portantina del Papa, malgrado la buona volontà dei portatori, è agitata da scosse e sobbalzi fra quei dirupi, con fatica e strazio del paziente vegliardo. Verso le undici si arriva al piano di Limone, dove Boissard fa ricomporre la carrozza del Papa, portata a pezzi sui muli. Il Pontefice, secondo il solito, vi è chiuso dentro a chiave e la corsa continua fin quando Boissard vede la via completamente ostruita dalla numerosissima popolazione accorsa. Infatti Limone aveva saputo dai portatori notizia sicura del passaggio e dell'arrivo, e così aveva disposto per l'addobbo della chiesa come nelle maggiori solennità, aveva radunata la guardia nazionale, e con lo scoppio di petardi festosi e col suono delle campane salutava l'arrivo dell'Augusto Prigioniero. Erano venuti incontro al Pontefice processionalmente, in sul mezzogiorno, la Confraternita di S. Sebastiano, la Compagnia di S. Luigi Gonzaga, le Figlie di Maria, la Badia di S. Eligio, l'Amministrazione Comunale, la Guardia Nazionale in tenuta, il Clero coi paramenti e col baldacchino del "Corpus "Domini" per condurre il Pontefice nella chiesa parrocchiale.

Boissard, molto seccato di tale accoglienza, non lasciò che il Papa scendesse di carrozza e, mentre la Guardia Nazionale salutava con tre scariche a salve e le Autorità ossequiavano il Pontefice, egli a cavallo fa schierare il popolo e le Compagnie ai lati della strada col pretesto che il Papa doveva passare in mezzo. Ottenuta così la via libera, Boissard lancia al trotto la carrozza; il popolo si inginocchia a ricevere la benedizione, ma non può tener piede alla velocità dei cavalli. Così la processione solenne ed ordinata, che dovrebbe scortare il Pontefice, non giunge a seguirlo, ma si sbanda e discioglie, e Boissard ottiene l'intento di mandare a vuoto la bella dimostrazione di fede, che Limone stava per dare. Il Papa arriva solo, con la scorta di Boissard e dei gendarmi a cavallo, nel paese deserto; la chiesa aperta lo aspetta, ma non gli è permesso di entrarvi, e sempre di corsa viene condotto all'albergo di Giovanni Battista Viale, detto "Buffon", maestro di posta. Là si pranza, e si dice che, essendo sabato giorno di vigilia, Boissard abbia fatto preparare di grasso; il Papa, stanchissimo, mangiò di magro, poco e male, in omaggio alla Chiesa, come reazione ed esempio. Dopo la brevissima refezione ottengono di baciar la mano al Papa i membri del Clero, del Comune, delle amministrazioni di carità; entrano anche nell'albergo numerosi popolani che si affrettano al bacio del Piede.

La cronaca di Limone ci racconta l'episodio che un tale, essendosi presentato al bacio del Piede coi capelli rasi alla nuova moda francese (allora i buoni Piemontesi avevano tutti il codino), il Papa subito si alzò e così non l'ammise, detestando una novità, che allora sapeva di rivoluzione e si praticava solo per gli schiavi e i carcerati.

Verso le tre del pomeriggio Boissard, troncate le visite, ordina la partenza. La via è assiepata di persone riverenti, che vengono a dare l'ultimo saluto; Boissard le fa disperdere (dice una memoria contemporanea) dai gendarmi "avec sa courtoisie ordinaire" e rimette in ordine la comitiva. Si riparte in furia, col sollione d'agosto, che ora batte e riverbera caldissimo sul fondo valle e dardeggia la vettura chiusa a chiave. Intanto la Guardia Nazionale saluta la partenza con tre scariche dei moschetti a salve.

Ricordi postumi.

Il Papa portò da Limone un ricordo soavissimo. Pochi giorni dopo, essendo sempre in viaggio come prigioniero verso Savona, gli si fece conoscere che avrebbe di nuovo avuto da passare un colle faticoso ed aspro, quello di Carcare, ed a Mondovì il Papa espresse al suo carceriere il desiderio di avere ancora i bravi portatori di Limone. E Boissard (la cronaca di Limone, ch'io possiedo, scritta dal teste oculare Giacomo Marro, lo chiama costantemente Boazar) mandò da Mondovì una staffetta a Limone per condurre a Carcare i dodici portatori coi loro arnesi necessari alla traversata del colle. I Limonesi, orgogliosi di loro prerogativa, si tennero, ben onorati di riprendere quel caro peso" (sono parole di Giacomo Marro) e portarlo con tutto riguardo verso Savona.

Nei primi giorni della prigionia a Savona andò colà a confortare il Papa un rappresentante di Limone - probabilmente il degno prevosto D. Paolino Amedeo Marro fu notaio Gio. Battista, oppure un suo incaricato - il quale potè essere ricevuto il 21 agosto, ed ottenne come ricordo "vivae vocis oracolo" un'indulgenza per i fedeli che, confessati e comunicati, entro l'ottava della festa di S. Pietro in Vincoli visiteranno la parrocchiale di Limone recitando il responsorio "si vis patronum quaerere" ecc. Questo risulta da foglio stampato, con approvazione, dal tipografo Pietro Rossi, Cuneo, 1820; ristampato poi nel 1864 dalla tipografia Riba.

Nella chiesa di Limone è posta la seguente iscrizione:
SS. D. N. PIUS PAPA VII - A ROMANA SEDE AUSU SCELESTISSIMO EREPTUS - IN DURAM CAPTIVITATEM PRIUS GRATIANOPOLIM ADDUCTUS - CUM SAVONAM VERSUS CUNEUM TRAHERETUR - CORNIO MONTE LABORIOSISSIME SUPERATO - SABBATO XII AUGUSTI MDCCCIX - MAXIMA PIETATE A LIMONENSIBUS EXCIPITUR - QUOS PERAMANTER AD MANUS OSCULUM ADMISOS - POSTEA PRIVILEGIIS ET INDULGENTIIS CUMULAVIT - A QUIBUS ETIAM TAM PROBATIS ET DILECTIS - PER ARDUUM CADIBONAE COLLEM VECTARI VOLUIT.

L'iscrizione termina con un esametro riassuntivo, che dà lo scioglimento del dramma: VINCULA SAEVA DEUS CONTRIVIT VINDICE DEXTRA.

Altra iscrizione si leggeva fino a pochi anni addietro nella camera dell'albergo dove fu accolto Pio VII, che era poi diventata caserma dei RR. Carabinieri. Ora è scomparsa.

A Vernante.

Quel pomeriggio d'agosto s'era fatto caldissimo; il Papa stanco, sfinito dallo strapazzo del colle, nonché dal cibo indigesto e frettoloso preso a Limone, ebbe a soffrirne assai. Quando, verso le quattro pomeridiane, si entrava in Vernante, l'Augusto Vegliardo sembrava cadere in deliquio. Boissard lo vide rannicchiato in fondo alla pesante carrozza, pallido come un cencio e temendo (come già i Giudei per la salita del Calvario) che il paziente morisse per via, grida alle buone donne che erano in piazza: "un verre d'eau"! Mentre la carrozza si ferma e s'apre lo sportello, molte mani tendono il bicchiere d'acqua in alto, ciascuna vorrebbe che il Papa prendesse il suo, ed Egli, sorridendo mesto alla gentile contesa, per contentare quelle pie e lasciar loro il ricordo desiderato, tocca tutti i bicchieri con la mano, li benedice e prende quello sportogli da una povera madre, che vanta la sua acqua sopra tutte le altre perché il figlio l'ha recata or ora dalla sorgente. Pio VII ne beve un sorso, poi, volgendosi al suo cappellano Monsignor Doria Pamphili che si trova a fianco, gli dice: "Sembra l'acqua di Fontainebleau". La voce corre in paese che il Papa ha così chiamata quell'acqua, ed anche ora - per ricordo - la buona sorgente, che ha rinfrancato Pio VII nei suoi dolori, è chiamata "Fontana bleu".

Non so se questo episodio, raccontatomi già da vecchi di Vernante, abbia valore storico; ad ogni modo è uno spunto gentile di folklore, che si innesta al passaggio del grande Pontefice.

Per ordine di Boissard lo sportello della vettura si richiude e si riprende la corsa.

A Robilante.

In fondo valle, col solleone d'agosto sul cielo della carrozza chiusa, la temperatura diventa asfissiante; il digiuno, lo strapazzo e il bicchier d'acqua preso a Vernante provocano nel Pontefice vecchio e malato una reazione, per cui, tutto madido di sudore copioso, sembra svenire. Boissard, inquieto, fa segno a Mons. Doria Pamphili di provvedere. La carrozza si ferma presso una casa campestre vicina a Robilante (finora non sono riuscito a identificarla) e Monsignor cappellano discende per chiamare ai contadini la carità d'una camera e di una camicia asciutta. Nella casa i contadini sono assenti, perché attendono al lavoro nei campi lontani; c'è però una donna di Roaschia, che si trovava là o per servizio o in casa di parenti, e questa si ritiene autorizzata a fare quanto occorre. Perciò tira fuori dal vecchio cofano una camicia di ruvida e grossa tela casalinga, che offre con tutto il cuore al Pontefice. Questi, sfinito di forze, ringrazia ed entra a cambiarsi nell'attigua stalla, unico posto disponibile. Ne esce dopo brevi minuti alquanto ristorato e pronto a riprendere il suo calvario.

Nell'accomiatarlo la buona donna domanda umilmente la benedizione e il Papa, facendole il segno di croce, la ringrazia della carità fatta al Padre comune di tutti i fedeli, dicendole: "Onora il padre tuo ed avrai vita lunga su questa terra".

La benedizione fu profetica, perché la donna morì poi a Roaschia molto avanzata negli anni. Ho frugato negli archivi di Roaschia per sapere il nome. Probabilmente si tratta di una tale Ghibaudo Francesca, vedova di Antonio Ghibaudo, che morì nel suo paese nativo in età di 90 anni il 6 dicembre 1871. Quand'essa ricevette caritatevolmente il Pontefice avrebbe avuto l'età di anni 28, essendo nata nel 1781.

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Pio VII da Roccavione a Cuneo (12 agosto 1809)

Il Priore di Roccavione ebbe modo dì sapere privatamente da Limone notizia del passaggio del Papa e potè darne rapidissimo avviso al Clero di Andonno e Valdieri. Così un po' prima delle 17 sì trova in attesa il priore D. Giorgio De Bernardi, il quale anche è riuscito a raccogliere presso la Cappella di S. Rocco non poco Clero da Valdieri e Andonno; attendono con divozione per porgere l'acqua santa al Pontefice e riceverne la benedizione, avendo indossata la cotta, ed i Parroci anche la mozzetta e la stola.

Ma quando Pio VII passa, la carrozza va al trotto e non è concessa alcuna fermata, né si abbassa lo sportello; il Papa saluta con cenni, ringrazia e benedice con largo segno di croce: LARGAM BENEDICTIONEM, dice la memoria contemporanea. E i figliuoli devoti vedono l'amabile e candida figura del Santo Padre involarsi rapidamente ai loro sguardi.

A Borgo S. Dalmazzo.

Il viaggio prosegue senza incidenti. Anche al Borgo è giunta notizia che il Papa deve passare, e il popolo è in attesa col Clero. Però al Borgo la polizia, più organizzata e meglio indettata dai padroni, riesce a rendere quasi nullo il ricevimento col diffondere largamente e autorevolmente la voce che il Papa, essendosi sentito male a Vernante, riposerà la notte colà e non passerà al Borgo che al mattino seguente. Così la folla, che stazionava in attesa, si dilegua, e quando il Papa giunge, non trova quasi alcuno sul suo passaggio.

Boissard intanto ha ottenuto, o meglio imposto, che in tutto il tragitto da Tenda a Cuneo nessun sacerdote abbia potuto avvicinare il Papa e parlargli; tanto egli temeva della fedeltà e dell'attaccamento che il Clero Cuneese aveva alla Sede Apostolica. Non per nulla i due maggiori campioni dell'idea papale nel mondo d'allora erano Cuneesi: FELICE DE ANDREIS e PIO BRUNONE LANTERI!

Ma a dispetto di Boissard e d'ogni altro sbirro napoleonico, la città di Cuneo s'apprestava a dare una solenne e grandiosa manifestazione della sua fede salda e incoercibile. Napoleone aveva distrutto le gloriose mura della città, ma la cittadella dei cuori era sempre inviolata! Cuneo papale segnerà ancora una bellissima pagina!

A San Rocco Castagnaretta.

Dopo il Borgo si entrava nell'antica Via Regia di Demonte, più frequentata e più bella; così la carrozza potè prendere un passo più veloce con minori sobbalzi e minor disagio per il prigioniero. Dopo una mezz'oretta sì giunse quindi presso la chiesa di S. Rocco Castagnaretta. La notizia che Pio VII sarebbe passato a Cuneo era giunta in città, donde si diffondeva nel suburbio. A S. Rocco l'Arciprete D. Giovanni Battista Cometto l'apprendeva troppo tardi per poter preparare un po' di ricevimento, e dovette contentarsi di mandare il sacrestano sul campanile perché suonando a festa le campane, salutasse come sì poteva il Pellegrino Apostolico. Ma quando Boissard, precedendo la carrozza papale, giunge alla chiesa, irritato da quel suono, invia due gendarmi ad intimare la cessazione immediata. I militi gridano sotto il campanile, ma non sono intesi; allora entrano e danno un violento strappo alle corde, cosicché la campana maggiore, messa improvvisamente in moto, da un gran colpo in pieno petto al sacrestano sorpreso e lo sbatte stordito sul soppalco, con una contusione fortunatamente leggera. La gente nei campi, che ha inteso il suono giulivo e poi lo sente troncato d'un tratto, si chiede cos'è stato, e non tarda a farsi unanime in coro d'esecrazione contro la brutalità del carceriere Boissard e, sottovoce, contro l'aborrito governo straniero.

L'ingresso in Cuneo.

Alla porta di Nizza, nell'attuale piazza Vittorio Emanuele, il maire di Cuneo, marchese Filippo Lovera di Maria, cavaliere dell'Impero e membro della Legion d'Onore, è venuto in carrozza dì gala con lo zio, abate Gio. Vincenzo, a salutare il Pontefice, a introdurlo solennemente in città e ad offrire alloggio a Sua Santità ed al seguito nello storico palazzo, che fino a poco fa fu sede della Banca d'Italia. Boissard accetta l'ospitalità a nome del Papa, ma esclude ogni ingresso solenne e tiene il suo prigioniero chiuso a chiave nella vettura senza permettere che passi nella carrozza offerta dal marchese Lovera.

Si entra in città, che per la fausta coincidenza con le feste de! Beato Angelo è tutta pavesata, presentando l'aspetto e l'animazione delle grandi occasioni, con ottima impressione nel venerando Pontefice. Circa le ore 19 la carrozza papale passava dinanzi al Duomo, dove attendevano colla Croce inalberata il Capitolo e larga rappresentanza del Clero.

Per chi desidera particolari dettagli, il Capitolo si componeva allora dei Canonici Gio. Battista GIRAUDI, Bartolomeo CURTI, Claudio SALVAGNO, Luigi PISCI, Benedetto MARGARIA, Francesco BESSONE, Amatore LOBETTI, Francesco BRUNI, Gio. Giuseppe FERRERI, Michele REVELLI, Paolo MAZZONI, Luca ROSTAGNI, Carlo MAYSA, Gio. Battista MAYSA, Giuseppe FERRARIS.

Malgrado la vivissima attesa e la ressa del popolo alla porta del Duomo (allora Collegiata di S. Maria del Bosco), Boissard non lasciò aprire lo sportello né fermare un istante la carrozza; e il Capitolo, data al popolo la benedizione con la Croce, dovette ritirarsi. Il Papa scese nel cortile Lovera di Maria e fu accompagnato al primo piano dagli ospiti, che gli servirono un cordiale.

Le visite ufficiose.

Verso le 19,20 vennero a fargli visita, in forma privata, il prefetto del Dipartimento della Stura, conte Pietro Arborio di Vercelli, membro della Legion d'Onore, col segretario generale Domenico Destombes. Ma non vollero e non poterono fare il debito onore presentandosi coll'alta divisa che avrebbe fatto una gran figura: abito di panno bleu, corpetto e calzoni bianchi, colletto tasche e paramani con ricami d'argento, scarpe rosse, frange d'argento, cappello napoleonico ricamato in argento, spada.

Venne pure con essi il conte Giacinto Caissotti di Chiusano, colonnello quattro volte (!), membro del Corpo legislativo e rappresentante a Parigi del Dipartimento della Stura, persona distinta ma di giudizio difficile, di cui presentò il ritratto e gran parte delle memorie il cav. Camillo Fresia in CUNEO NEI TEMPI ANDATI.

Saputo di questo ricevimento, il Capitolo col Clero si presentò in cappa e rocchetto, supplicando d'essere ricevuto. Boissard, che col Clero non aveva i riguardi che forzatamente aveva dovuto mostrare colle autorità civili, rispose secco che non credeva più a proposito inquietare il Papa, stanco del viaggio. Quanti riguardi simulava lo sbirro per camuffarsi da gentiluomo!

La sera del 12 agosto.

Verso le 20, essendo tutta l'attuale via Roma assiepata di gente che gridava: Viva Pio VII il Gran Pontefice!, dovette il Papa uscire sul balcone centrale del palazzo e benedire al popolo plaudente. Le chiese intanto erano affollate; molti vollero confessarsi, per fare il domani la S. Comunione per il Papa. "Oratio autem fiebat sine intermissione ab Ecclesia ad Deum pro Eo!".

Intanto, col permesso di Boissard, erano introdotti presso il Papa, in una breve visita collettiva, alcuni nobili, autorità e matrone; baciarono confusamente la mano o il piede al Papa come si poteva, e in pochi minuti tutto fu sbrigato.

Ottimamente il Municipio, che teneva pronti per la sera seguente i fuochi d'artifizio per la festa del Beato Angelo, con bel pensiero li fece piantare dinanzi al palazzo Lovera e sul far della sera li fece accendere in omaggio ai Pontefice. Furono anche mandati avvisi a Savigliano, a Saluzzo, perché venissero rappresentanti e cittadini a vedere il Papa; ma colà si ritenne falsa la notizia e si sospettò d'uno stratagemma dei cuneesi per attirare molto pubblico alla festa del Beato Angelo; onde vennero pochissimi.

Il Papa, dopo una parca cena, contemplò un istante dalla finestra i fuochi accesi in suo onore e ricordò forse la frase antica dell'incoronazione: SIC TRANSIT GLORIA MUNDI!. Poi s'inginocchiò su d'uno sgabelletto, che ora si conserva come reliquia preziosa nel Vescovado, e recitò lunghe e fervorose preghiere fin verso le 22 e mezzo. Prese sonno in una camera attigua, mentre, spenti i fuochi, le vie si facevano deserte e, nelle case divote, le buone famiglie, adunandosi, secondo l'uso, attorno ai genitori ed ai nonni per recitare il Santo Rosario, aggiungevano ardenti orazioni per la liberazione di quel Grande, la cui tiara, redimita dall'aureola del martirio, rifulgeva nel carcere più luminosa ancora che non prima negli splendori del trono pontificale. E mentre il Papa riposava tranquillo come San Pietro fra i carcerieri, non riposava la polizia napoleonica, che a chiari indizi vedeva crescere il malcontento, anzi lo sdegno e l'aborrimento delle popolazioni contro l'imperiale padrone.

Napoleone, il quale aveva creduto con quella pazza ostentazione del Papa prigioniero, di mostrare al popolo che l'autorità papale era crollata, mentre la potenza imperiale diventava sempre più inoppugnabile, s'accorgeva poi di avere invece minato irreparabilmente le basi del suo trono superbo.

"Stolto che volli coll'immobil fato cozzar della gran Roma, onde ne porto rotte le tempio e il capo insanguinato!".

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Pio VII a Cuneo. L'alba del 13 agosto 1809

Mentre il Papa dormiva vigilato dal Boissard la notte fra il 12 e il 13 agosto, la notizia che Pio VII era in Cuneo, si diffondeva largamente, talché le Compagnie religiose che secondo l'uso sarebbero venute la mattina a visitare la salma del Beato Angelo, vi giunsero straordinariamente numerose, sperando di vedere il Papa ed averne la benedizione. L'Augusto Prigioniero, dopo aver a lungo pregato nella cappelletta del Marchese Lovera, verso le sette entrò nella sala grande del palazzo, dove era stato eretto un altare. Celebrò prima il segretario Monsignor Doria, e il Papa genuflesso sentì quella Santa Messa come preparazione.

Poi, assistito dall'abate Gio. Vincenzo di Maria, zio del maire, e dal suo cappellano Don Giovanni Soglia, offrì a Dio il Santo Sacrificio, alla presenza di quante persone potevano capire nella sala. Fatto il ringraziamento, volle assistere ancora alla terza Messa celebrata dal predetto suo cappellano e confessore; quindi, essendo tutta la via Roma gremita di popolo e di compagnie religiose colle più svariate divise e cogli stendardi spiegati, benedisse dal balcone ripetutamente e con effusione di cuore alla nostra città. La commozione dell'immenso popolo era grandissima.

La visita del Capitolo.

Intanto il Capitolo aveva ripetuto le istanze per essere ammesso a udienza e otteneva finalmente, per intercessione del prefetto e del maire, che Boissard lasciasse entrare quattro delegati in abito nero, senza divise canonicali. Entrarono il vicario Vescovile e priore Don Giraudi, il quale per una caduta da un calesse portava un braccio al collo, e i canonici Lobetti, Revelli e Rostagni. Essi espressero il loro cordoglio per non aver potuto ricevere il Papa nel Duomo e non averlo potuto assistere nella celebrazione della Messa. Desideravano di aver l'onore di fornire l'occorrente per la Messa Papale, ma impediti in tutto, offrono al Santo Padre un calice che vorrebbero fosse il calice del conforto e dell'esultanza. Esprimono al Pontefice un desiderio più volte secolare, cioè che Cuneo possa avere un proprio Vescovo, come le altre città, anche minori, del Piemonte. Pio VII riceve il calice con affetto, e poiché nel viaggio non potrà averne due con sé, dona in cambio il calice Suo, che anche aveva usato quella mattina. Esso è ora custodito con cura dai Canonici e porta questa iscrizione, memoria del primo donante "CANONICUS COELESTINUS DE ASTE AD USUM SUMMI PONTIFICIS PII PAPAE SEPTIMI TAURINI DIE 25 ET 26 APRILIS 1805 DEDIT". Quel calice, memoria del grande Pontefice, servì ai Pontificali di tutti i nostri Vescovi ed è quindi un cimelio prezioso per la Diocesi.

Quell'iscrizione ricorda il donante canonico Celestino De Aste di Somano, dottore in ambe le leggi, sindaco del Capitolo metropolitano di Torino, morto a Torino e colà sepolto con questa iscrizione riferita dal Bosio nelle note al Pedemontium Sacrum: - De Aste a Somano Caelestinus I. U. D. Syndacus Capit. Huius Metrop. Eccl. - Obiit 19 novem. 1820 act. Suae 66". I Canonici, nel ricevere il dono prezioso, manifestarono la loro riconoscenza: anzi vi fu chi espresse velatamente il pensiero che i cambi fatti nel palazzo Lovera sono fatali ai re di Francia, perché Francesco 1° che in quel palazzo aveva fatto il cambio della propria armatura, era andato alla sconfitta di Pavia. Ma Pio VII non colse l'allusione e l'augurio nefasto per Napoleone, e quanto alla domanda d'erezione della diocesi, incrociando i polsi fece capire che attualmente poteva far nulla avendo le mani legate.

Ancora nel mattino 13 agosto.

Boissard, temendo che l'udienza dei Canonici si prolungasse, bussò alla porta e la troncò. Il Papa uscì verso le 9 sul balcone a benedire una seconda volta un'enorme folla che assiepava via Roma. Poi rientrò nella sala dove ammise al bacio della mano o del piede molte persone - fra i nobili i conti Paolo Bonada di Vignalo, Angelo Ricci d'Andonno, Giuseppe Vitale di Paglieres, Angelo Lingua di Mosso, ecc. - molti sacerdoti e, senza distinzione nella dolce confusione d'un affetto famigliare, secolari, donne, fanciulli, ricevuti dal Papa (scrisse l'abate De Maria, presente alla scena) "con una dolcezza tranquillità e fermezza di spirito ammirabili e proprie d'un Santo Vicario di Gesù Cristo in terra". Verso le 10 e mezzo, poiché i buoni contadini accorsi a Cuneo non si risolvevano a tornare alle loro case senza vedere ancora il Papa, Pio VII benedisse per la terza volta il popolo vieppiù affollato per tutta la via, e piangente di consolazione e di rammarico per la vicina partenza.

Infatti la carrozza, prigione ambulante dell'Augusto Carcerato, era pronta già nel cortile di casa Lovera, e i cavalli scalpitavano sul selciato.

Un episodio commovente

Intanto è portata la notizia al Pontefice che il vecchio Conte Bruno di Tournafort, di ottantadue anni e da molto tempo immobilizzato da podagra, vuole ad ogni costo vedere il Papa e farsi portare braccia nella via con grandissimo disagio per averne la benedizione. Pio VII si commuove pensando al disagio del vecchio podagroso e desidera, nella tenerezza del suo cuore paterno, di portargli la benedizione in casa. Il Prefetto Arborio e il Maire Marchese Lovera ottengono dal Boissard che la carrozza con piccola diversione passi dinanzi al palazzo Bruno di Tournafort (nell'attuale via Leutrum)2 e che il Papa salga un brevissimo istante a confortare il vegliardo. Così, mentre le campane suonano a festa in quella domenica per la Messa solenne del Beato Angelo, l'Augusto Prigioniero esce dal palazzo Lovera e giunge dal vecchio Conte, che prima di morire ha la suprema consolazione non solo di essere benedetto dal Papa, ma di ospitarlo brevi istanti in casa sua. Oh smisurata bontà d'un Pontefice, che dimentica di essere Lui esule, prigioniero, vecchio, malato, pur di esercitare un atto di carità e diventare per un ottuagenario gottoso l'angelo consolatore!

Con questo stupendo ricordo Pio VII lasciava Cuneo scendendo al ponte di Gesso, donde attraverso i vetri dava un ultimo sguardo pieno di tenerezza e di affetto alla bella città, che sorgeva in alto, luminosamente baciata dal sole. Verso il mezzogiorno giunge a Roccadebaldi, dove pranza dal maire signor Prandi e nel pomeriggio saliva a Mondovì.

Il resto del viaggio.

Per non lasciare troppo incompleta la narrazione del resto del viaggio, aggiungo che a Mondovì il Papa fu lasciato riposare tre giorni; però non fu ospitato in Vescovado, sia che non lo permettesse Boissard, sia che il Vescovo Monsignor Vitale, molto ligio al governo, temesse l'ira di Napoleone. Fu invece ospite del maire conte Annibale Fauzone di Germagnano e dal balcone del suo palazzo benedisse il popolo. Potè visitare la cattedrale e il Santuario, recatovi con quella portantina, che ora colà si conserva come ricordo. Partì il 16 agosto, attraversando il colle di Carcare o Cadibona con l'aiuto desiderato dei dodici portatori di Limone, di cui ho dato l'elenco. Entrava in Savona il 17 agosto, cominciando la dura prigionia durata cinque lunghi anni.

Gli attori.

Non è il caso di dare un giudizio su Napoleone; dirò solo che la carcerazione del Papa fu il più grave errore commesso da quel gran genio accecato dalla superbia. Errore così grave, che Napoleone stesso non seppe trovarvi rimedio ed ebbe fin da principio il Papa prigioniero come l'incubo dei suoi giorni. Avrebbe dovuto spiegare ai suoi esecutori le sue intenzioni riguardo a un tale prigioniero, ma non volle e forse non seppe spiegarle, perché intenzioni precise non ne aveva. E così il Papa giunse in Toscana, dove la principessa Elisa Baiocchi Bonaparte, Impaurita di un tale ospite, s'affrettò a mandano in Liguria ... e di qui ebbero fretta di fargli attraversare le Alpi per mandarlo all'Imperatore. Ma questi non voleva averlo vicino e aveva dato ordine che non fosse condotto in Francia. Quando l'ordine giunse, il Papa era a Grenoble e lo si rimandò a Savona. Questi contr'ordini furono la causa del passaggio a Cuneo. Così pure non è il caso di dare un giudizio su Pio VII, figura sempre grande, ma grandissima nella sventura. Basti citare questo brano dell'autobiografia del Tommaseo ("Educazione dell'ingegno"): "Pensai a scrivere l'elogio di Pio VII, ma la difficoltà mi atterrì. Sentivo nell'anima gorgogliare una vena d'affetto che l'ingegno non sapeva ridurre in rivi quieti, in armoniosi zampilli. E che qualcosa sentissi, mel dice il passo che avevo scelto quasi auspicio al mio dire: "NON CONTENDE! NEQUE CLAMABIT ... ARUNDINEM QUASSATAM NON CONFRINGET ET LINUM FUMIGANS NON EXTINGUET; parole sublimi più che Napoleone e le sue quaranta battaglie".

Avrei voluto essere più mite nei giudizi sui carcerieri di Napoleone, ma la fedeltà storica me l'ha vietato, Radet, il generale di polizia, che compì il sacrilego arresto del Papa al Quirinale, era ex canonico penitenziere di una cattedrale di Francia, e Boissard un uomo duro e intrattabile. Sappiamo che il parroco di Millesimo, che aveva schierata la popolazione per la via al passaggio del Papa e inginocchiato domandava per tutti la benedizione, ebbe dal Boissard una tale scudisciata in viso, che ne portò i segni lungo tempo, e la marchesa Valburga del Carretto, mentre si disponeva ad accogliere il Papa nel suo palazzo, fu con mal garbo rovesciata a terra dal capitano brutale. Questi erano i ministri imperiali attorno al Pontefice.

Tanto più restava commosso Pio VII all'accoglienza cordiale dei nostri paesani, dove trovava sacerdoti fedelissimi, autorità ossequienti, gentiluomini cortesi, popolo devoto e venerabondo din-nanzi al lungo martirio sopportato con una costanza, serenità e dignità impareggiabili.

I ricordi.

Tradizioni orali, manoscritti, lapidi commemorative e ricordi d'ogni genere hanno a noi tramandata la memoria del passaggio.

L'iscrizione posta a Sospello dai baroni Ricci des Ferres è stata dai medesimi trasportata nella loro villa a Madonna dell'Olmo. Ho riportata l'iscrizione della chiesa di Limone; quella della caserma o albergo è scomparsa. Resta l'iscrizione sullo scalone del palazzo Lovera De Maria, come quella riportata sul piede del calice alla Cattedrale di Cuneo. Nel Museo Civico ci sono le lenzuola dove dormì in Cuneo Pio VII il 12 agosto 1809; lo sgabello-inginocchiatoio è in Vescovado, il bianco zucchetto è a Demonte nella villa Crispolti, mentre a Margarita nel Castello dei Solaro c'è una miniatura o ritratto del Pontefice, dono del medesimo alla famiglia. Io conservo con cura un opuscolo caldo di sentimento, scritto forse dal Lanteri e largamente diffuso alla macchia fra il nostro popolo: "Esatta relazione dei patimenti che ha sofferti in Francia il capo della chiesa"; dove è pure contenuta la storia del "rapimento e viaggio di S. S. Pio VII". Quell'opuscolo smascherava le relazioni ufficiali, con cui Napoleone voleva far credere che si trattava d'un viaggio volontario del Papa ... per suo piacere!

La conservazione dì questi oggetti indica la venerazione, che sempre accompagna la memoria del grande Pontefice.

Mentre Pio VII era prigioniero a Savona, i Cuneesi furono gli organizzatori del più santo e astuto contrabbando (auspice il nostro Brunone Lanteri), per far giungere a Lui oggetti di vestiario, frutta e soprattutto corrispondenze e fogli clandestini, che aiutavano mirabilmente il Papa nel governo della Chiesa. Ora ci resta come principale ricordo di Pio VII la costituzione della nuova diocesi di Cuneo, da Lui eretta appena fu libero dalle unghie grifagne dell'aquila napoleonica.

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